dialogo di Plotino e di Porfirio

Un’Operetta morale al mese: aprile è “Dialogo di Plotino e di Porfirio”

Aprile: a più di un anno dal primo caso di Coronavirus registrato in Italia, tiriamo le fila di alcune delle ripercussioni che questa drammatica pandemia ha avuto sulla popolazione, in particolare tra le fasce più giovani. Depressione, disturbi alimentari e del sonno, attacchi di panico, suicidi: sono queste, ora, le principali cause di disagio (e nel peggiore dei casi, anche di morte) tra adolescenti e ragazzi. L’Operetta che ci accompagnerà nella riflessione di una realtà tanto straziante quanto dolorosamente concreta è Dialogo di Plotino e di Porfirio.

Che cos’è un’Operetta morale?

Le Operette morali sono ventiquattro brevi dialoghi e novelle moraleggianti che ospitano creature immaginarie come gnomi e folletti, personaggi illustri come Tasso o Copernico, oppure allegorie naturali come la Morte, la Luna e il Sole. La sorprendente modernità di questo capolavoro firmato Giacomo Leopardi risiede nella scelta dei temi e nel tono satirico con i quali sono trattati: il rapporto dell’uomo con il mondo, le sue relazioni con gli altri individui, la degradazione dell’epoca moderna e l’infelicità.

Dialogo di Plotino e di Porfirio è la ventiduesima operetta della raccolta, nella quale Leopardi affronta il tema del suicidio delineandone sia le motivazioni che lo rendono un atto giustificabile, sia quelle ad esso avverse, per poi risolversi, nel finale, in una commovente perorazione in favore della vita.

L’operetta si apre con l’incontro tra Plotino, maestro fondatore del neoplatonismo, e Porfirio, suo alunno. Quest’ultimo, dialogando con il maestro, gli confida la “mala intenzione” che cova ormai da qualche tempo: a causa del tedio verso la vita, quell’annichilente sentimento di vacuità nei confronti di ogni aspetto dell’esistenza, il giovane sta contemplando l’ipotesi del suicidio.

Dopo un breve dibattito sulla natura di questa azione, Plotino afferma con convinzione che a renderla sbagliata siano fondamentalmente valori terreni e sociali. Secondo il filosofo, infatti, è doveroso astenersi dal suicidio soprattutto per amore delle persone care, per evitare di recare loro una sofferenza dilaniante e immeritata. Insomma, il suicidio altro non è che un puro atto egoistico, compiuto senza tenere minimamente conto dei sentimenti di chi ci sta attorno,

tanto che in questa azione del privarsi di vita, apparisce il più schietto amor di se medesimo che si trovi al mondo.

Che l’esistenza sia infelice è un dato di fatto, ma fuggirla non è certamente la soluzione: resistervi stoicamente, sostenendosi l’un l’altro, invece potrebbe esserlo. Questo conclusivo elogio alla solidarietà fra uomini prende, nella riflessione leopardiana, il nome di “social catena”: una volta compresa l’inevitabile tragicità dell’esistenza umana, gli uomini dovranno abbandonare invidie, rancori e guerre fratricide per sostenersi vicendevolmente, uniti contro le avversità del mondo. Soltanto così potranno sperare in un qualche sollievo dalle sofferenze terrene.

Viviamo e confortiamoci insieme: non ricusiamo di portare quella parte che il destino ci ha stabilita, dei mali della nostra specie. Sì bene attendiamo a tenerci compagnia l’un l’altro; e andiamoci incoraggiando, e dando mano e soccorso scambievolmente; per compiere nel miglior modo questa fatica della vita.

I disturbi mentali nel biennio del Coronavirus

Il pensiero suicida di Porfirio non proviene dal pieno possesso delle sue facoltà intellettive, ma da una disposizione malinconica che oggi chiameremmo “stato depressivo”. La depressione è uno dei più comuni e insidiosi tra i disturbi neuropsichiatrici, terza principale causa di morte per malattia (preceduta soltanto dalle patologie cardiovascolari e dai tumori maligni).

Le misure preventive messe in atto dallo Stato per limitare e contenere il contagio da Coronavirus hanno inevitabilmente inciso sulla salute mentale della popolazione. Nel 2018, stando alle statistiche riportate da alcuni Paesi dell’Unione Europea, il 27% della popolazione adulta (18-65 anni) ha sperimentato almeno un episodio di disturbo mentale. Ma soltanto negli ultimi tredici mesi i casi di depressione, disturbi alimentari, autolesionismo e dipendenze (alcoliche e/o da sostanze stupefacenti) hanno subìto un’impennata senza precedenti. E ad esserne colpiti sono soprattutto i più giovani.

In Italia, isolamento e permanenza forzata in ambienti chiusi hanno incrementato del 30% gli episodi di Disturbi del Comportamento Alimentare: un numero spaventoso, soprattutto se si considera che non tutti coloro che ne soffrono trovano il coraggio di parlarne. Le statistiche, infatti, sono soltanto indicative: dietro una cifra approssimativa si nasconde un mondo di vittime silenziose.

Ancora più drammatico è l’aumento del numero di suicidi, per il quale non è difficile scorgere un collegamento diretto con l’attuale stato pandemico: perdita di lavoro, preoccupazioni economiche, lutti e contesti famigliari stressanti sono soltanto alcune delle condizioni che possono generare una sofferenza tale da optare per le conclusioni più avventate.

Che cosa fare in questi casi? Leopardi riportava, a metà del 1800, un appassionato dialogo tra filosofi del III secolo. Oggi, un dibattito tra motivazioni a favore o contro il suicidio non deve e non può sussistere. Parlarne è l’unica strada da imboccare, l’unico modo per uscire dal buio. Confidarsi con qualcuno di fidato, condividere il proprio dolore e lasciarsi aiutare, proprio come ha fatto Porfirio con Plotino:

In una cosa di così grande importanza, tu non dovresti avere a male di conferirla con persona che ti vuol tanto bene quanto a se stessa. Discorriamo insieme riposatamente, e andiamo pensando le ragioni: tu ti dolerai, piangerai, sfogherai l’animo tuo meco.

Spartire il proprio dolore con un’altra persona alleggerisce un macigno impossibile da sostenere con la sola propria forza, ma che, una volta condiviso, non risulta più così tremendamente pesante. Permettere a qualcun altro di varcare le soglie della propria interiorità può essere illuminante: spesso ciò che si crede insormontabile, insostenibile, immutabile, se guardato da altri occhi si trasforma in un ostacolo momentaneo, estinguibile con qualche piccolo o grande – ma comunque sempre realizzabile – intervento.

Passato un poco di tempo; mutata leggermente la disposizion del corpo; a poco a poco e spesse volte all’improvviso, per cagion appena possibili a notare, rifassi il gusto alla vita, nasce or questa or quella speranza nuova, e le cose umane ripigliano quella loro apparenza, e mostransi non indegne di qualche cura […]. E ciò basta all’effetto di fare che la persona perseveri nella vita, e proceda in essa come fanno gli altri.

Perché, pur nella consapevolezza della tragicità dell’esistenza, il puro desiderio di vivere, vivere e ancora vivere è l’inestinguibile forza che tiene l’uomo attaccato alla vita. Essa è innata in ciascuno di noi: a volte va soltanto dissepolta dai macigni accumulati al nostro interno, che non sono mai così insopportabilmente pesanti come si crede.


FONTI

Epicentro.iss.it

Epicentro.iss.it

Repubblica.it

Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Laura Melosi, Bur, 2008

CREDIT

Copertina

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