Il testo, ampiamente lacunoso e menomo della parte finale, sembrerebbe appartenere alla celebre corrispondenza fra l’illustre poeta Rainer Maria Rilke e l’ufficiale e intellettuale austriaco, nonché poeta egli stesso, Franz Xaver Kappus. Pubblicato postumo nel 1929 e successivamente edito in Italia da Adelphi col titolo Lettere a un giovane poeta, il carteggio, oltre che una preziosa dichiarazione di poetica, ha rappresentato anche e soprattutto un breviario di vita, almeno negli anni Trenta. Si tratta di inedite invettive contro il governo romano.
Inedite invettive contro Roma
Molti sono i temi e i concetti che accomunano questo testo a quelli dell’epistolario. Si tratta di un testo comparso per la prima volta in traduzione italiana su una rivista letteraria degli anni Settanta. Perciò si accese un discreto dibattito tra intellettuali e accademici a riguardo, in particolare in merito alla questione della paternità. Infatti, la mancanza della firma, la distanza dello stile di questo frammento da quello delle altre e ben più note lettere, e il tono ironico se non addirittura caustico -praticamente sconosciuto alle altre lettere- di alcuni passi fanno sorgere forti dubbi sull’autore.
Il testo potrebbe appartenere ad uno scambio epistolare estraneo a Rilke, tenuto da Kappus e una terza persona a noi ignota. Tuttavia fa pensare altrimenti l’aspetto tematico del testo, così vicino alla poetica del grande scrittore. Le tematiche sono l’avversione a Roma, la concezione della solitudine, l’aborrimento per la facilità. Si tratta, insomma, di inedite invettive contro Roma. Al di là delle questioni filologiche ci è sembrato interessante riproporre il frammento per l’attualità, che, nonostante gli anni, conserva. La paternità si attribuisce a Rilke, in attesa di maggiori certezze.
Ro[m]a, […][1]6
[C]ar[o] signor Kappus,
E’ ormai lontano il giorno in cui ricevei la tua u[lt]ima lettera ed è forse per questo che v[i] [sc]rivo ora. Come già ti dissi più di una volta, siamo s[o]li, e sempre di più. Non si tratta però, [m]io giovane amico, della a noi nota e cara solitudine immensa, inesauribile fonte d’ispirazione di un artista:
a questa inevitabile, anzi necessaria e feconda, specialmente a u[n] poeta come voi, e dunque lieta, che tanto spesso e così dolcemente occupò i nostri discorsi, se ne aggiunge ora una sociale e quindi intellettuale che, come non erroneamente avevo intuito, la triste e bieca città di Roma -solo volgarissima ombra del suo ricordo- immancabilmente ci procura. Come un sole, questa prosciuga l’altra, nostra sorgente di bellezza artistica.
Per quanto sofisticati ed efficienti siano gli strumenti della clinica, la vecchia ha sempre bisogno d’essere accudita, imboccata e lasciata ad un riposo che non si preannuncia mai breve. Anzi, ogni giorno sembra voler essere il suo ultimo. Ma la sua ormai incapacità anche solo di congedarsi la scoraggia dall’intraprendere strade nuove e non battute. Questa è la [s]ituazione di Roma, mai veramente mutata, nonostante gli eventi trascorsi, dai tempi della nostra ultima lettera.
Certo è che il tempo passa per tutti e invecchiano anche le altre signore del paese, pur [ma]ntenendo viva la loro dignità, che ce le rende di molto preferibili alla compagnia di questa perennemente immobile.
Eterna nella sua vanità, Roma tradisce i suoi antichi costumi. Non sfrutta gli ozii della senilità per opere di grande spessore intellettuale -come si conviene fare a quell’età- nemmeno nei rari momenti di lucidità, concessi da un passato uso cencioso e sbandato del suo pur notevole ingegno. Sì, veramente ne ha viste di giornate memorabili anche in tempi recenti.
Ma cosa può una mente devastata da una vita di abusi contro l’unione a questi del lento ma inesorabile sfacelo del tempo? anche quei giorni sembrano svaniti dalla sua memoria, e adesso non parla [s]e non nell’ora dei pasti con le solite sue interiezioni gutturali.
Oh mio caro Kappus, quanta tristezza mi incute la sua vista e quanta rabbia si arrovella in questa desolazione!
Ma basta con queste melliflue considerazioni. Nutro troppa speranza di ricevere prest[o da] voi notizie e stimoli per il mio intelletto intorpidito da tanto nostalgico ristagno per potermi abbandonare sinceramente a q[uest]i facili –e noi sappiamo nostro preciso impegno ricercare il difficile e fugare la banale semplicità- sospiri in malinconica veste fra le languide meraviglie del declino.
Con q[…]
[1] Abbiamo scelto di mantenere la ricostruzione delle lacune già proposta dal traduttore.
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