Italo Svevo, all’anagrafe Aron Hector Schmitz, pubblica La coscienza di Zeno a quasi 15 anni di distanza dai due romanzi precedenti, deluso dal suo poco successo letterario; ma la sua perseveranza fu premiata e oggi tutti noi abbiamo studiato questo classico letterario. Spesso dimentichiamo che prima di essere un classico letterario, è stato un libro, e come tale ora lo recensirò.
Al centro della vicenda e voce narrante è Zeno, un ragazzo di buona famiglia, ma sfaticato; affida la gestione dei propri beni ad un amico e si ritrova completamente libero. Noi leggiamo il diario scritto alla soglia dei sessant’anni come parte di una terapia psicoanalitica e nonostante sia passato molto tempo i pensieri di Zeno sono molto precisi, così come le sue emozioni e i comportamenti delle persone intorno a lui. Il piano del pensiero è sempre rilevante e la sua pigrizia si rivela nel rimuginare, aspettare e spesso pentirsi dopo.
È diviso in capitoli tematici –il fumo, la storia del mio matrimonio, la moglie e l’amante, storia di un’associazione commerciale– che affrontano i medesimi anni sotto vari punti di vista, commentati con il senno di poi, che formano un quadro completo del personaggio. Gli episodi sono densi di emozioni e rendono la lettura sempre più appassionante, soprattutto dopo che si innamora e si sposa, tanto che viene naturale provare simpatia e antipatia verso i personaggi.
L’introduzione del suo analista però ci ricorda che Zeno si rifiutò di proseguire la terapia, sostenendo di essere guarito, e sottolinea che il testo è molto soggettivo in ogni parte perché i ricordi si sono deformati con il tempo. Mette così in dubbio molti particolari della storia che Zeno ricorda –o crede di ricordare?-.
Svevo studia approfonditamente le teorie psicoanalitiche di Freud, le ritiene corrette concettualmente ma le rifiuta come metodo di cura, come si nota in questo romanzo. Rivendica l’individualità personale, come quella dei suoi protagonisti, fatta anche da difetti; una terapia eliminerebbe i difetti ma renderebbe gli uomini tutti uguali, come vorrebbe la società. Critica così anche l’ipocrisia borghese di inizio Novecento e i meccanismi alienanti della società coeva.
Rimane però una buona eccezione dell’idea che un classico letterario debba essere noioso. Tratta argomenti complessi, ma è facile anche metterli da parte per godersi una lettura piacevole e appassionante, come ogni altro libro.