Marina Cvetaeva

di Anita Mestriner

Cammini, a me somigliante,

gli occhi puntando in basso.

Io li ho abbassati- anche!

Passante, fermati!

Leggi – di ranuncoli

e di papaveri colto un mazzetto

– che io mi chiamavo Marina

e quanti anni avevo.

Non credere che qui sia – una tomba,

che io ti apparirò minacciando…

A me stessa troppo piaceva

ridere quando non si può!

E il sangue fluiva alla pelle,

e i miei riccioli s’arrotolavano…

Anch’io esistevo, passante!

Passante, fermati!

Strappa uno stelo selvatico per te

e una bacca – subito dopo.

Niente è più grosso e più dolce

d’una fragola di cimitero.

Solo non stare così tetro,

la testa chinata sul petto.

Con leggerezza pensami,

con leggerezza dimenticami.

Come t’investe il raggio di sole!

Sei tutto in un polverio dorato…

E che almeno però non ti turbi

la mia voce di sottoterra.

(Marina Cvetaeva, Cammini, a me somigliante)

Questa sublime poesia appartiene alla penna di Marina Cvetaeva, considerata una delle maggiori poetesse russe del ‘900.
Infatti Boris Pasternak, descrive così la poetessa: «Nella vita e nell’arte la Cvetaeva aspirò sempre, impetuosamente, avidamente, quasi rapacemente alla finezza e alla perfezione: e, nell’inseguirle, si spinse molto in avanti, sorpassò tutti… Oltre al poco che ci è noto, essa ha scritto una quantità di cose che da noi sono ancora sconosciute: opere immense, tempestose…. La loro pubblicazione segnerà un grande trionfo e una rivoluzione per la nostra poesia che, inaspettatamente, si arricchirà di un dono tardivo e straordinario. Penso che la massima rivalutazione e il massimo dei riconoscimenti attendano la Cvetaeva».

Pasternak scrisse tutto ciò nel 1956, e in qualche modo predette la fama che seguì dopo la morte questa poetessa suicida.

Grido delle stazioni: resta!

delle sale d’aspetto: oh, compassione!

grido delle stazioni secondarie:

non è l’esclamazione

di Dante:

<lasciate ogni speranza>?

E grido delle locomotive.

Con il ferro squassa

e col rombo di un’onda oceanica.

Agli sportelli delle casse

credevi che commerciassero in spazi?

In mari e terreferme?

Nella più viva delle carni:

carne siamo – non anime!

Labbra – non rose!

Via da noi? – No, su di noi

le ruote trasportano gli amati!

Alla tale e alla tal’altra velocità all’ora.

Sportelli delle casse.

Ossicini d’una passione da giocatori.

Ha ragione quel qualcuno di noi

che disse: l’amore è uno scorticatoio!

<- La vita è rotaie! Non piangere!>

Massicciate – massicciate – massicciate…

(Negli occhi di questi ronzini

i proprietari guardano malvolentieri).

<Senza fosso e senza cucitura

non c’è felicità. – Con questo l’ho comprato,>

quella sarta aveva ragione.

Al che, dopo un silenzio: <Ci sono le traversine.>

(Marina Cvetaeva, Grido delle stazioni)

Marina Cvetaeva è nata a Mosca l’8 ottobre 1892 e a soli sei anni cominciò a scrivere poesie. Nel 1909 si trasferì da sola a Parigi per frequentare letteratura francese alla Sorbona; le sue poesie giovanili e il suo talento furono subito notati dal poeta Volosin che la introdusse negli ambienti letterari.

Ed è proprio a casa sua che nel 1911 incontra il suo futuro marito Sergej Efron, con cui ebbe la prima figlia nel 1912, Ariadna.

Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti,

non registrati nell’ambito della visuale.

(Che non figurano nei vostri manuali,

per cui una fossa da scarico è la casa).

Ci sono al mondo i vuoti, i presi a spintoni,

quelli che restano muti: letame,

chiodo per il vostro orlo di seta!

Ne ha ribrezzo il fango sotto le ruote!

Ci sono al mondo gli apparenti – invisibili,

(il segno: màcula da lebbrosario)!

ci sono al mondo i Giobbe, che Giobbe

invidierebbe se non fosse che:

noi siamo i poeti – e rimiamo con i paria,

ma, straripando dalle rive,

noi contestiamo Dio alle Dee

e la vergine agli Dei!

(Marina Cvetaeva, Ci sono al mondo i superflui, gli aggiunti…)

Durante la rivoluzione di febbraio del 1917 la poetessa si trova a Mosca e a causa della guerra civile si trova separata dal marito che si unì da ufficiale ai bianchi. Così la Cvetaeva si trova a 25 anni completamente da sola con due figlie piccole. Quando perse il lavoro, si trovò costretta a lasciare la figlia più piccola (nata nell’aprile 1917) in un orfanotrofio, dove vi morì per denutrizione.

Quando finalmente la guerra civile finì riuscì a contattare suo marito e acconsentì a raggiungerlo a Praga. Qui visse felicemente con Efron dal 1922 al 1925. Nel febbraio 1923 nacque Mur, il terzo figlio. In autunno la famiglia si trasferì a Parigi, dove vissero per 14 anni.

Ma ben presto tutto il suo mondo si rovesciò: Efron aveva cominciato a collaborare con la GPU. Infatti egli prese parte all’uccisione del figlio di Trotskij, Andrea Sedov, e di Ignatij Rejs. Così il marito si nascose in Spagna e la Cvetaeva si trovò di nuovo da sola con due figli a cui badare.

Decise di tornare in Russia, ma qui l’emarginazione e la povertà divennero sempre più opprimenti. Nel 1939 sua figlia venne arrestata e deportata nei gulag. Subito dopo venne fucilato Efron.

La poetessa sempre più sola ed emarginata decise di togliersi la vita. Il 31 agosto 1941 salì su una sedia, rigirò una corda attorno ad una trave e si impiccò.


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