Abbracci di Natale

E se ne stava lì con il suo cappottino troppo leggero, verde smeraldo, decisamente troppo leggero per quella notte santa e gelata, quella notte da trascorrere con la famiglia e le persone che ami. Anche lei aveva una famiglia, anche lei amava ed era amata, ma nessuno era andato ad ascoltarla cantare alla messa di Natale.
Antiche inimicizie parrocchiali tenevano la famiglia ben lontana da quella chiesa, solo lei, coi suoi modi garbati, con il suo essere così posata, con la sua capacità di regalare un sorriso a chi ne avesse bisogno e sempre, solo lei aveva saputo riappacificare le liti e ripresentarsi in quell’ambiente a lei tanto caro.
Dunque nessuno della sua famiglia si era presentato. E lei, lei se ne stava lì sotto casa, dopo essere tornata in quella notte gelata in bicicletta con le gambe scoperte che venivano fuori dall’elegante cappottino verde. Era seduta sul gradino di un negozio, proprio sotto casa, non era triste ma una lieve sensazione di vuoto le prendeva la bocca dello stomaco, proprio sotto lo sterno.
Si sentiva sola.
La famiglia spaccata.
La rottura recente con l’uomo che avrebbe dovuto sposare. Quei momenti, quei pochi momenti dell’anno vanno vissuti con il calore di chi si ama e tutto quello che avrebbe desiderato era un amico con cui condividere i momenti dopo la messa, qualcuno che la riaccompagnasse a casa e restasse a conversare con lei, un abbraccio.
Un abbraccio sarebbe stato il regalo più grande che avrebbe potuto chiede a Dio in quel frangente.
E se ne stava lì, fumando l’ultima sigaretta su quello scalino dove aveva fumato tante sigarette e aveva bevuto tante tazze di vino (lo portava giù da casa in una tazza) con l’amica Sabrina, scomparsa brutalmente e bruscamente dalla sua vita pochi mesi prima, un’altra ragione di vuoto.
Se ne stava lì, sperando in quell’abbraccio, assorta tra i suoi pensieri, pensieri di giovani alunni che le riempivano il cuore e la vita con le loro voci acute, la loro poca attenzione, il loro entusiasmo e iperattività. Insegnava.
Era stata in giro per il vicinato già per qualche ora, in completa solitudine dopo la messa, come nell’attesa di qualcosa, un segno dal cielo, un segno e basta.
Vide un Radiobus rallentare mentre si dirigeva verso di lei.
Il veicolò si fermò.
Ne scese un signore in divisa più sui cinquanta che sui quaranta, capelli brizzolati e baffoni pepe e sale, pancia importante e di media altezza.
“Signorina tutto bene? L’ho vista dal fondo della via, sa ci vedo ancora molto bene e ho pensato potesse essersi sentita male.”
“No, no, non si preoccupi, stavo qui a fumare l’ultima sigaretta prima di andare a dormire ” disse lei con un sorriso.
“Beh, mi sembra un po’ tardi per fumare l’ultima sigaretta, signorina!”
“Beh, mi sembra un po’ presto per dare consigli di vita!” Ribatté la ragazza ironica.
“Vuole un goccio di spumante? Sa io e i miei colleghi ci siamo trovati alla mezzanotte e ci siamo presi dieci minuti per festeggiare anche noi poveretti costretti a lavorare persino la notte di Natale. É avanzato qualcosa se vuole, anche del panettone!”
“La ringrazio ma…”
“Su, su, non faccia i complimenti, ecco tenga! E iniziò a versare un po’ di spumante e tagliare una fettina di panettone.
La ragazza, che in cuor suo era in realtà molto contenta, non poté che accettare.
“Ho lavorato anche io stanotte, sa” gli fece eco la ragazza. “Ma non a pagamento! Ho lavorato per il Signore! Ho cantato alla messa di mezzanotte.”
“Brava! Mi sarebbe piaciuto vederla, del resto potrebbe essere mia figlia. I suoi genitori saranno certo stati orgogliosi!”
“Veramente non sono venuti.” E qui la ragazza gelò.
“Mi dispiace, avevano da fare?”
“No, in realtà no. Non sono venuti e basta.”
“E il moroso? Neanche quello è venuto?”
“Senta ma lei domande di riserva non ne ha?”
“Mi racconti! Sono curioso, è una bella ragazza e..”
“Questo lo dice lei e la bellezza non è una qualità per quanto mi riguarda.”
“Mi scusi non volevo offenderla…”
E una, due, tre lacrime iniziarono a rigare il volto della giovane donna.
Erano mesi che non piangeva, avrebbe voluto benedire quell’uomo per averla fatta piangere.
“Mi scusi, mi scusi!” Disse l’uomo accorato.
“No mi scusi lei, anzi grazie, posso darti del tu? Scusami, erano mesi che non piangevo ma ho il cuore rotto.”
“E chi è stato il farabutto? Se lo prendo!” Fece l’uomo con una smorfia buffa e mostrando il pugno.
“È la vita, mio buon amico, la vita che ci offre mille prove.”
“Ah, non me ne parli signorina, io ho fatto la fame per i primi 20 anni della mia, venivo da una famiglia molto povera della provincia di Lecce, contadini.”
“No, noi soldi ne abbiamo sempre avuti molti. Ma mia madre è gravemente malata da quando ho dodici anni, è bipolare ma mal curata.”
“È alla moda al giorno d’oggi essere bipolari, no? Sento così tanti casi…bipolari, schizofrenici, disturbo dell’attenzione”, fece l’uomo.
“È così di moda che tre anni fa è stato diagnosticato anche a me”, disse la ragazza
“Ah, mi spiace!”
“That’s life, è la vita. La mia è andata in pezzi da quando ne soffro, ho perso tutto: opportunità di lavoro, amici, fidanzato. Tutto. Ho dovuto ricominciare tabula rasa.
“Eppure non sembra, non sembri, ti do del tu anche io, non sembri così devastata, quando mi sono fermato sorridevi!”
“Bisogna tenersi insieme in qualche modo, no? La vita va avanti. È stata una bella serata, ho cantato, ho incontrato te, l’unica cosa che mi manca è un abbraccio sincero.”
E l’uomo strinse la ragazza contro la sua pancia importante, mettendole la testa sulla spalla, in modo paterno.
Alle volte il dono più bello può essere un semplice abbraccio.

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