Howard Phillips Lovecraft e la finzione del Necronomicon

It’s another sunny day in Providence, avrà esordito così penso la radio un giorno del 1928, o almeno così penso esordiscano tutte le radio americane, che sia una giornata di sole o meno. In realtà Providence, città natale del nostro H. P. Lovecraft non penso sia una città da giornate di sole, mi evoca nubi e pioggia. Ma comunque. Il nostro sta probabilmente facendo colazione al bar, un toast e caffè nero, seduto al bancone, sul ciglio dello sgabello, come se dovesse scappare da un momento all’altro. Un ragazzo con gli occhiali, chiaramente un po’ disadattato, gli si avvicina e dice: “Ammiro molto il suo lavoro, signor Lovecraft, e volevo chiederle se avesse idea di dove sia possibile acquistare una copia del Necronomicon, i bibliotecari della città non sanno aiutarmi.” Al che il nostro emerge dall’imbarazzo nel quale lo gettano i complimenti, pochi e sparuti a dire il vero, strabuzza gli occhi e cerca una risposta all’assurda domanda. Una copia del Necronomicon? Ma il Necronomicon non esiste. Quasi senza pensarci risponde “L’ho potuto consultare a Parigi, mi dispiace”. Il ragazzo mogio e deluso si allontana. Perché ha risposto così? E perché il ragazzo gli ha posto una domanda simile? Tutto ad un tratto capisce, è colto da un’improvvisa illuminazione. Paga la sua colazione ed esce in fretta dal bar, infilandosi alla bell’e meglio il soprabito sull’abito grigio. Cammina rapido e dinoccolato per le strade di Providence, portandosi verso l’ufficio del suo editore (Lovecraft non va da qualche parte, lui ci si portaè più facile immaginarcelo così). Espone all’editore ciò che gli è appena successo e mette sul volto un inquietante ghigno: un sorriso, qualcosa di nuovo per il nostro. Immaginiamo l’editore un po’ turbato da questa nuova espressione sul volto del suo scrittore. E in quello studio, quel giorno, fu pianificato uno dei più grandi scherzi della letteratura moderna.

Ovviamente l’apologo di cui sopra è completamente inventato, tanto quanto il Necronomicon. Cos’è questo libro, quindi? Lovecraft è uno dei più importanti autori del fantastico americano, da molti ritenuto erede di Poe. In una serie di suoi racconti si fa riferimento a quest’opera, il “Libro dei Nomi dei Morti“. Si dice nei suoi racconti che sia stato scritto dal poeta arabo pazzo Abdul Alhazred, vissuto sotto la dinastia omayyade, dopo dieci anni di ritiro nel Deserto Purpureo. Il testo contiene un racconto mitologico sui Grandi Antichi, pure emanazioni del caos primordiale precedenti a qualunque altra forma di vita o di realtà, i loro nomi ed i modi per invocarli. Sparse nei racconti troviamo tracce di quest’opera, faticosamente trasmessa fino a noi in pochissime copie, riferimenti alla strana sorte dell’autore e agli inquietanti contenuti del testo. Lovecraft non era particolarmente famoso ma già in vita il suo nome era forma di culto per gli appassionati del fantastico e nutriva di ottima considerazione presso la critica per le sue capacità stilistiche, ma nel giro di pochi anni, fra la fine degli anni ’20 e l’inizio dei ’30, il suo nome si diffuse rapidamente legato soprattutto a quello dell’opera da lui continuamente citata. Il Necronomicon, come detto, non esiste, è una sua invenzione per dare fondamento storico-narrativo alle creature di sua ideazione. Ma tale era l’accuratezza delle informazioni da lui date ed il fascino suscitato che in molti iniziarono a crederla un’opera reale. Anzi: nessuno si pose il problema potesse essere un’opera di finzione, uno pseudobiblium. Fra riferimenti ad autori, personaggi e biblioteche reali si diffuse la leggenda del Libro dei Morti.

Lovecraft non negherà mai l’esistenza del testo, alimentando la passione e l’interesse. Da lui vengono citati luoghi in cui sarebbero contenute copie superstiti dell’opera: ovviamente suddette biblioteche e musei negheranno tutto, finendo solo per aumentare la morbosità dietro la ricerca. Sarà proprio il nostro a dire, quasi preoccupato, che se la leggenda fosse continuata a crescere non avrebbe potuto mai svelare la verità, poiché sarebbe stato accusato di mentire su un’opera da lui inventata. Dopo la sua morte nel 1937, la leggenda non esita ad arrestarsi. Il nome del Necronomicon si affaccia nei cataloghi di antiquari e bibliotecari. Alla fine degli anni Sessanta un biografo del nostro, Sprague de Camp, al ritorno da un viaggio in Asia, pubblica un manoscritto acquistato in un villaggio dell’Iraq che riteneva essere proprio il tanto agognato libro, in realtà smentito subito da filologi e linguisti come una sequenza di segni senza senso ad imitazione del persiano. Negli anni Settanta Colin Wilson afferma che Lovecraft mentiva quando diceva che il testo non esistesse per coprire una realtà ben diversa: l’affiliazione del padre alla massoneria egiziana. Da quegli anni l’opera di Lovecraft è stata oggetto di trasposizioni, adattamenti, omaggi e riferimenti a non finire, alimentando una leggenda ed una suggestione che non termineranno mai.

Per concludere citiamo gli enigmatici e bellissimi versi di Abdul Alhazred (il nostro disse che il nome era uno pseudonimo usato da bambino, affascinato dalle Mille e una notte)

Non è morto ciò che può morire in eterno / e in strani eoni anche la morte può morire. 

 

 

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