L’Oceano tra le braccia

C’è una piccola pasticceria, all’angolo del Pont du Sully. L’insegna chiara, un po’ sbiadita, reca, a caratteri scuri, il nome ‘Café de Amandine‘.
Ci siete mai stati?

Non mi stupirei, se così non fosse, perché non è il genere di caffè tipicamente frequentato dai turisti.

Affacciato sulla Senna, silenzioso e modesto – pochi tavolini all’interno, che conserva uno stile anni ’20, e solo un paio all’esterno – ha come visitatori i piccoli occhi golosi dei bambini che, in punta di piedi, sbirciano attraverso l’ampia vetrina, che si apre proprio all’altezza del lungo bancone in legno, la quale ospita sempre una generosa quantità di dolci appena sfornati; gli anziani parigini, soprattutto uomini, sono abituè di quel piccolo cimelio, ‘logoro ma felice’, come sono soliti dire.
Li puoi vedere ad ogni ora, seduti al tavolo all’angolo, quello di fianco alla finestra con les violettes, a cui Blanche Capucin, una donnona dalle mani grandi e gli occhi buoni, proprietaria del caffè, è così affezionata.
E’ lei la straordinaria artefice della tarte tatin, di cui Colette Moreau va matta, nonché di tutto il resto.

Colette è la più originale degli affezionati del V Arrondissement.
Sulla trentina – ma tutti avrebbero giurato di conoscerla da molto più tempo – si presentava al Café con il solito sorriso, quello con le fossette, un quaderno, bianco all’interno, completamente intatto, pulito, e una matita tra le mani.
Aspettavano tutti, curiosi, di sapere cosa avrebbe scritto, ma lei sembrava non voler dare a nessuno questa soddisfazione.


Così com’era comparsa, lasciava, nel tardo pomeriggio, la sedia su cui era seduta, il tavolo dove aveva studiato, bevuto un the o mangiato un macaron, ma mai scritto. Andava via (nessuno sapeva dove abitasse, se avesse amici, fratelli e sorelle) pronunciando un vivace ‘bonsoir’; la pagina ancora silenziosa.

– ‘Pardon mademoiselle, cosa aspetta?’
– ‘Aspetto di provare ad avere l’Oceano tra le braccia’
– ‘Non è nel luogo sbagliato? Qui ci sono solo la Senna e dei vecchi che non parlano d’altro che di guerra’
– ‘Mais non, cara Blanche, le assicuro che è proprio quello giusto’ disse un giorno.
– Ecco, io vorrei essere cullata e, poi, portata via. Partire e ritornare.
Sentire la sua eco, portarla nel cuore, mentre vago libera’-

D’improvviso, all’inizio dell’inverno, la si vide comparire meno. Era un fatto straordinario, sicuramente mai successo prima di quel momento.
Quando compariva, pareva più meditabonda, ‘sempre più strana’, avrebbe detto uno dei più burberi tra i soliti frequentatori.
C’era qualcosa di particolare e magico in quei due occhi che brillavano; nella maniera in cui pronunciava ‘bonne àpres-midi’ e ‘merci’, più squillanti del solito.

Sapete quando vi cade un bicchiere dalle mani, o l’attimo in cui perdete un treno perché è in anticipo o, ancora, il momento in cui incontrate quella persona a cui stavate pensando giusto l’altra sera? Fatti inaspettati, certo, ma quotidiani.

Andò così quando François, il ragazzo che faceva l’apprendista nell’edificio accanto alla pasticceria, da Monsieur Girard, pittore piuttosto noto in città, fece quel che fece.
Lo videro i fedelissimi del Caffè e la signora Blanche, attraverso i vetri dell’entrata. François era dalla parte opposta della strada.
Si chinò lentamente, dolcemente, e depose un leggero bacio sulle labbra di quel viso abbandonato che custodiva tra le mani. Compì quel gesto cautamente, quasi timoroso, guardandola, subito dopo, nello stesso modo in cui contemplava i migliori dipinti, della cui bellezza rimaneva sempre stupefatto.

Una scena tanto romantica non è che un fatto quotidiano, ma non capita tutti i giorni di assistervi.
Ciò che fu, invece, straordinario e totalmente inaspettato, fu che Colette, entrata nel Café e sedutasi al solito tavolo, scrisse sul medesimo foglio candido che l’aveva sempre accompagnata:

Porto
7 dicembre 2013’


FONTI
Autrice del racconto: Valentina Cesarino

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