Ci sono vari motivi per innamorarsi di Pier Vittorio Tondelli. Perché vari, multiformi, caleidoscopici sono stati i suoi modi di scrivere e di rivolgersi al mondo.
Accanto a una prosa più maleducata, una più ripiegata in se stessa. Accanto a una delirante, una dolorante. Ci sono due poli e poche gradazioni intermedie a dividerli, o ad avvicinarli, a fare la media insomma.
Nel 1989 esce Camere separate. Non so esattamente quali segni di Tondelli questo romanzo porti. Cosa dica o nasconda nelle pieghe delle sue pagine: ho l’impressione che dia un’immagine diversa dal Tondelli che siamo -più o meno- abituati a considerare.
Il Tondelli che sono abituata a considerare, per esempio, balla sulle note di un jazz bellissimo e struggente, commosso, alcolizzato, disperato. In altre parole, le parole di Duke Ellington, un jazz che è “il tipo d’uomo con cui non vorreste far uscire vostra figlia”.
Camere separate, invece, prende in prestito la sua struttura dalla partitura della musica classica: il romanzo è ripartito in tre movimenti.
In un’intervista, Tondelli motiva la scelta:
“Con Camere separate non volevo restituire una confessione. Dovevo trovare una forma: ho pensato, quindi, che per me potesse essere molto spontanea e molto genuina una forma musicale, perché questa narrazione è come un canto; il canto di una persona sola che riflette, che riassorbe tutto il proprio passato, che si proietta nel futuro, nelle esperienze. Allora ho preferito sviluppare tre momenti, tutti più o meno con gli stessi temi, in modo tale da farli coesistere e interagire in ciascun movimento. Più o meno la narrazione è conclusa in ogni movimento, un po’ come nella musica minimale o ambientale. C’è sempre la stessa nota, o lo stesso gruppo di note, che si riproducono quasi in circolo. Sembra sempre che non cambi niente, e invece è un modo per scavare… alla fine, ti cambia la partitura. Questa è stata l’idea del libro”
A Tondelli, forse con un ritardo imperdonabile, ma dopotutto abbastanza fisiologico alla critica letteraria, si è guardato come un classico: dai racconti dell’esordio fino alle ultime prove, segue in sé e attraverso sé le tracce di una generazione, che percorre la contestazione, il mito dell’effimero, per approdare al ripiegamento nel privato. Ecco, Camere separate, l’ultimo romanzo prima della morte per AIDS, è di chiara ispirazione autobiografica. Tondelli si prende per mano e si accompagna alla conclusione del suo percorso di scrittore, come si accompagna alla finitezza dell’uomo, il cui simbolo è la (sua) malattia mortale.
La trama del romanzo è piuttosto evanescente. Leo e Thomas si sono amati molto per molti anni e Thomas sta morendo ora. La storia acquista tridimensionalità solo guardando attraverso la filigrana delle confessioni di Leo.
I due si conoscono durante un party a Parigi: all’inizio un’attrazione acerba, imperfetta anche, ma tutt’altro che inconsapevole. Un’attrazione che diventa nel primo movimento “una sensazione di compattezza fino al cervello”. I primi ricordi di Leo ricostruiscono la trama di una vita condotta con Thomas in giro per l’Europa; per insoddisfazione, o irrequietezza, quella che ha accomunato una intera generazione. Un amore che sembra un patto col diavolo, un patto faustiano, l’anima in cambio di cosa?
“Stringo un patto con il diavolo, voglio i tuoi occhi, di nuovo e a tutti i costi. Fumo una sigaretta per sancire questo patto, amore mio, ma poi scopro, atterrito che sei tu il diavolo”.
Thomas sta morendo e Leo è andato a trovarlo. L’ha visto in un letto di ospedale con gli occhi di un bambino impaurito. E anche lui, anche Leo, si sente un ragazzo in pericolo. Si ha più paura quando a morire è chi amiamo?
Quello di Leo è un viaggio nel passato, nel ventre della sua terra padana, nella sua camera di bambino, nelle tradizioni di un Cristo che muore e risorge secondo i ritmi del suo paese, nella sua vita prima di Thomas, nella sua vita con Thomas, nella sua vita in camere separate lontano da Thomas.
Arriva per Leo un tempo di solitudine. Camere separate è il diario di bordo di un viaggio solipsistico di cui moltissime cose potrebbero dirsi e discutersi: dell’omosessualità, delle radici, della religione e della sessualità… Molte cose vanno in frantumi sotto la (niente affatto ossimorica) passione cerebrale di Leo. Molti funerali, molti riti, molti addii.
Eppure, non tutto sembra perduto. Tondelli lascia un testamento attraverso queste pagine.
Verso la fine del romanzo, Leo è su un traghetto, seduto su una panca di ferro verniciata di bianco a guardare lo spettacolo di una gioventù che vive, mangia, beve, chiacchiera. “Eppure, proprio per questo, lui ebbe, alla luce di quelle stelle e di quella luna mediterranea e gelida, la consapevolezza che il suo destino era proprio questo, di vegliare e di raccontare”.
Tutto il romanzo è pervaso nevroticamente da un’ansia di assoluto, di totalità sofferta, mancata. Non c’è una soluzione a quest’ossessione nostalgica e delusa, ma c’è una risposta per il Leo (Pier Vittorio) scrittore; c’è la consapevolezza che la sofferenza ha comportato uno sviluppo nell’interiorità.
“Avrebbe potuto fare l’amore, divertirsi, espandersi in circuiti emotivi e alleanze politiche e invece si trovava a lavorare, nella concentrazione e nella compressione, al mistero della propria solitudine ignaro ce, così facendo, si avvicinava alla vena più solida di quella realtà separata che definiamo arte”.
Mentre tutto muore, c’è la consapevolezza di un destino, quello della diversità. Una diversità che si è fatta scala di valori.
“La sua diversità, quello che lo distingue dagli amici del paese in cui è nato, non è tanto il fatto di non avere un lavoro, né una casa, né un compagno, né figli, ma proprio il suo scrivere, il dire continuamente in termini di scrittura quello che gli altri sono ben contenti di tacere. La sua sessualità, la sua sentimentalità si giocano non con altre persone, come lui ha sempre creduto, finendo ogni volta con il rompersi la testa, ma proprio nell’elaborazione costante, nel corpo a corpo, con un testo che ancora non c’è”.
Thomas è morto. Ma è solo con Leo che la morte di Thomas diventa un testo che ancora non c’è.
Fonte 1: Pier Vittorio Tondelli, Camere separate, Bompiani, 1989