Shylock – Io (non) sono come voi

“Io vi odio perché siete cristiani”. Questa è la prima frase che Shylock pronuncia dopo un tempo, piuttosto lungo, sul palcoscenico spoglio. L’ebreo del “Mercante di Venezia” ha un valigia in mano, è quasi pronto per allontanarsi per sempre da Venezia a causa della sentenza; ma prima vuole fare un’ultima, esasperante, riflessione. Inizia così lo spettacolo presentato al Pacta Salone Milano, produzione “I Demoni”.

Shylock ha perso tutto, tutto tranne la sua Fede e l’odio verso i persecutori. La compagnia “I Demoni”, partendo dal celeberrimo monologo di Shylock, ha indagato uno dei personaggi più misteriosi e controversi del “Mercante di Venezia”. La discriminazione razziale, lasciata abilmente in sospeso da Shakespeare, viene qui esemplificata restringendo la prospettiva sull’ebreo usuraio, maltrattato da tutti, costretto all’emarginazione nella città di Venezia, picchiato, violentato, vittima di soprusi e di inganni e, alla fine, costretto alla conversione e alla fuga. Il personaggio memorabile di Shakespeare appare sul palco del Pacta in tutta la sua contraddittorietà: l’empatia che provoca nello spettatore è forte, la lealtà e fiducia con cui si racconta al pubblico mette a nudo l’uomo, rendendolo così debole e fragile. Allo stesso tempo, l’attore ha conservato quell’avarizia, quel forte sentimento di odio caratteristico del personaggio shakespeariano. Shakespeare, infatti, dice l’attore, è stato in grado di portare sulla carta l’uomo, con la sua contraddittorietà e imperfezione, incompletezza.

La scenografia è ridotta al minimo indispensabile. Importanti giochi di luce avvolgono lo spettacolo in un clima psichedelico. Per il resto, il palcoscenico è vuoto. Soltanto l’ebreo riempie lo spazio, scuro e penetrante, quasi inglobante, a rappresentare un paesaggio notturno e isolato. Sono pochissimi gli oggetti presenti in scena, tra cui una mela. Il protagonista la sbuccia all’inizio dello spettacolo; da una parte è simbolo della povertà estrema, dall’altra rappresenta il peccato originale cristiano, un peccato da cui l’ebreo non può essere espiato, poiché la sua condanna è totale e naturale. Lo spazio è usato agevolmente: lo spettacolo, infatti, è dinamico, nonostante sia un monologo. Viene sfruttata anche la sala e, spesso, l’attore si rivolge direttamente agli spettatori, come se fossero i veneziani.

A fine spettacolo l’attore e il regista si sono fermati per una chiacchierata. Il loro processo di costruzione dello spettacolo è partito dall’analisi profonda di un personaggio “classico”, con l’obiettivo di creare una forte empatia con il pubblico. Analizzare la psicologia di un personaggio malvagio permette di studiare la logica dei suoi comportamenti e comprenderli. Lo spettacolo, infatti, che si è sempre attenuto a Shylock, ha stravolto le aspettative sul finale: l’emarginazione e la malvagità dell’ebreo del 1600 ha fatto un salto in avanti, allargando la prospettiva al mondo contemporaneo. Prima una canzone di rap palestinese, in riferimento al conflitto con gli ebrei, poi la comparsa dell’attore nelle vesti di un terrorista, con un cuore in mano. Vero è che non si può giustificare il male, soprattutto quello assoluto, così spietato, ma è anche vero che non basta porsi indifferenti limitandosi al “Io non sono come voi”. Bisogna andare alle radici del problema, cercare di comprenderlo, poi combatterlo. Questo spettacolo apre uno spiraglio verso l’integrazione, esprimendo un messaggio fortissimo, schiacciante: forse il male altrui non germoglia dall’individualità, forse la responsabilità è collettiva.


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