Tra gli ambiti artistici in cui il nostro Paese si è distinto negli anni spiccano la moda e il cinema. È quindi naturale che agli Academy Awards la categoria in cui l’Italia ha vinto più volte, dopo il premio per Miglior film in lingua straniera (ora Miglior film internazionale) in cui l’Italia detiene il primato di quattordici statuette, sia l’Oscar ai migliori costumi. Delle dieci statuette vinte in questa categoria da costumisti italiani, quattro sono state consegnate a Milena Canonero. In quasi mezzo secolo di carriera ha ricevuto ventisette candidature nei più importanti festival cinematografici mondiali, ha collaborato con i più iconici registi della nostra epoca ed è stata nominata Cavaliere di Gran Croce Ordine al Merito della Repubblica Italiana.
Nasce a Torino nel 1946 e a Genova studia storia e arte del costume. A metà anni Sessanta si trasferisce a Londra dove collabora in diverse produzioni teatrali. L’incontro che le cambierà la vita è quello con il leggendario Stanley Kubrick, mentre il regista era impegnato nella realizzazione di 2001: Odissea nello spazio. Kubrick le chiede di collaborare con lui per i costumi di Arancia meccanica del 1971. Sarà l’inizio di una fruttuosa collaborazione. Infatti nel 1976 i costumi realizzati per Berry Lyndon le varranno il primo Oscar. Dopo Fuga di mezzanotte (Alan Parker, 1978) torna a lavorare con Kubrick per Shining (1980). Il regista l’avrebbe voluta anche per Eyes Wide Shut (1999), ma la Canonero era allora impegnata in Titus (Julie Taymor).
Nel 1981 arriva la seconda statuetta per Momenti di gloria, diretto da Hugh Hudson. Gli anni Ottanta si rivelano particolarmente fecondi, con le collaborazioni con Francis Ford Coppola per Cotton Club nel 1984 e con Sydney Pollack per La mia Africa nel 1985. Per il primo realizza anche i costumi de Il padrino-Parte III (1990). Nel 1994 Roman Polanski le affida i costumi de La morte e la fanciulla. I due lavoreranno ancora insieme con Carnage (2011).
Negli anni Duemila lavora per i nuovi visionari, primo tra tutti Wes Anderson, che si affida a lei per portare alla luce il mondo di Le avventure acquatiche di Steve Zissou (2004). Nello stesso anno realizza i costumi di Ocean’s Twelve (Steven Soderbergh). Nel 2007 con Marie Antoinette di Sofia Coppola arriva il terzo Oscar. La costumista aveva già avuto occasione di vestire la sovrana francese in L’intrigo della collana (Charles Shyer, 2001). Torna nel pittoresco mondo di Anderson nel 2007 con Il treno per Darjeeling e nel 2015 il capolavoro del regista, Grand Budapest Hotel, le vale l’ultimo Oscar. Finora almeno, dato che l’ultima pellicola che li vede insieme, The French Dispatch, non è ancora stata distribuita e ha già mandato in visibilio gli amanti del regista.
BARRY LINDON
Si è spesso parlato di Kubrick come di un regista eccessivamente rigoroso e perfezionista. Gira una leggenda, smentita dalla stessa Canonero, che sul set di Shining, Stanley, indeciso su quale maglione fare indossare a Danny durante una scena, la girò una volta per ogni opzione.
Il perfezionismo di Kubrick è stato molto ingigantito, ma non si può negare che fosse uno dei registi più attenti a ogni aspetto della produzione, fino ai minimi dettagli. Ne sono una dimostrazione i costumi realizzati per Barry Lyndon.
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La trama, basata sul romanzo Le memorie di Barry Lyndon di William Makepeace Thackeray, sembra un pretesto per la ricostruzione dell’Inghilterra del diciottesimo secolo. In effetti l’intero film prende ispirazione dalla pittura del Settecento, in particolare quella di William Hogarth. Per i costumi è stata condotta una ricerca maniacale. Nell’archivio Kubrick a Londra sono conservate pagine e pagine di pubblicazioni d’arte e di libri di storia del costume. Si passa dai tagli dei cappotti al modo in cui ci si radeva nel diciottesimo secolo. Prima dell’inizio delle riprese del film la Canonero ha visitato tutte le case di costume d’Europa, senza trovare abiti adatti al film. Troppo teatrali, troppo pesanti, non rispecchiavano la sua visione. Quindi, sotto l’impulso della sua collaboratrice, Ulla-Britt Soderlund è stato allestito un laboratorio esclusivamente per la realizzazione degli abiti di scena, a cui lavoravano cinquanta persone. L’unica eccezione sono cinque costumi maschili presi dalla sartoria Safas, probabilmente realizzati da Piero Tosi.
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Il film si apre nella modesta campagna irlandese e si conclude nell’opulenta dimora di Lady Lyndon, la più facoltosa ereditiera d’Inghilterra. Milena Canonero ha quindi avuto modo di esplorare l’abbigliamento di tutti gli strati sociali, non facendosi mancare neanche le uniformi militari, preponderanti nella prima metà del film. Per le scene corali di guerra sono state realizzate centinaia di uniformi, confezionate da una piccola azienda manifatturiera su un prototipo disegnato dal reparto costumi.
Il personaggio più spettacolare, per quanto riguarda l’abbigliamento, è Lady Lyndon. La Canonero ha dichiarato che l’interprete, Marisa Berenson, era talmente bella e alta abbastanza da poterle fare indossare gli abiti più eccentrici e le parrucche più stravaganti senza che risultasse grottesco. Per questo personaggio sono state realizzate enormi parrucche: una bionda, una grigio-ferro e una rossastra. Con i capelli naturali della Berenson venivano fatte acconciature impolverate e con l’aggiunta di pastiches. La ricca ereditiera è rappresentata come una donna esteticamente perfetta, ma vuota come una bambola e infelice.
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Gli spettacolari costumi di Barrry Lyndon, che hanno vinto il premio Oscar, sono conservati in varie case di costume. Alcuni sono stati ceduti a un museo e altri sono ancora in possesso della Canonero.
MOMENTI DI GLORIA
Se gli abiti di Barry Lyndon sono entrati nella storia del costume, quelli di Momenti di gloria hanno conquistato il mondo della moda. A confronto con gli opulenti abiti del Settecento, i costumi di Momenti di gloria sembrano poca cosa, ma hanno lasciato un’influenza molto profonda sullo stile del loro tempo e anche su quello successivo.
Il film, diretto da Hugh Hudson, narra la storia di due universitari di Cambridge che vinsero l’oro alle Olimpiadi di Parigi del 1924. Gli abiti di scena, come è naturale, sono in prevalenza assimilabili all’abbigliamento sportivo. La Canonero ha ricreato perfettamente la moda sportiva del tempo, che aveva abbandonato la lana per adottare cotone, seta e satin. L’attenzione al dettaglio e all’esattezza storica sono sempre presenti, ma quello che la costumista italiana non si sarebbe mai aspettata era che le sue creazioni diventassero una tendenza nel mondo contemporaneo. Ed è proprio quello che è successo. I costumi sono stati ripresi subito da Ralph Lauren, Jeffrey Banks e Nino Cerruti. Ralph Lauren in particolare ha ammirato moltissimo i tagli eleganti delle uniformi della squadra britannica, perfettamente in linea con il suo amore per l’abbigliamento sportivo classico e lo stile collegiale britannico (di cui abbiamo già trattato in un precedente articolo). Lo stilista statunitense si è ispirato ai costumi del film anche per le divise ufficiali del Team USA per le Olimpiadi del 2014. In occasione delle Olimpiadi di Londra del 2012 è stata allestita una rappresentazione teatrale di Momenti di gloria. Il pubblico ha partecipato allo spettacolo presentandosi in abiti anni Venti simili a quelli del film.
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Momenti di gloria è un film che ha lasciato una grande eredità nella cultura popolare e Milena Canonero ha fatto la sua parte, riportando in auge lo stile atletico maschile degli anni Venti.
MARIE ANTOINETTE
In Barry Lyndon e Momenti di gloria i costumi erano fondamentali per ricreare l’epoca in cui i film sono ambientati. In Marie Antoinette il costume diventa esso stesso un personaggio. Il film di Sofia Coppola racconta la vita della regina francese, rileggendola in chiave postmoderna.
Nella fase di pre-produzione Sofia Coppola ha portato a Milena Canonero una scatola di macarons della pasticceria Laduree, di diversi colori pastello. Questa è stata l’unica indicazione della regista, per il resto si è affidata alla sapienza della Canonero. La costumista ha deciso di semplificare gli abiti del tempo, rendendoli meno pesanti e opulenti. Il risultato è una quantità inimmaginabile di leggiadri e vezzosi abiti dai colori delicatissimi e gioiosi.
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Kirsten Dunst, interprete di Maria Antonietta, ha dichiarato di aver indossato sessanta diversi abiti durante le riprese. Si tratta solo della protagonista, se dovessimo aggiungere gli abiti indossati dalle favorite, dai personaggi secondari e da tutte le comparse si arriverebbe senza fatica ad un numero con quattro cifre. Per quanto riguarda i gioielli, la Canonero ha dichiarato di essersi dimostrata parca, facendo indossare ai personaggi molti meno gioielli di quanto era in uso alla corte di Versailles. Nonostante questo i gioielli non sono pochi, originali del diciottesimo secolo (provenienti dalla collezione della gioielleria Fred Leighton).
I costumi non servono solo ad un mero fattore estetico, anche se le varie scene in cui vengono passati in rassegna vestiti, abiti e gioielli sono molto piacevoli. I passaggi salienti della vita della giovane Maria Antonietta sono raccontati anche attraverso l’abbigliamento. Ne abbiamo un primo esempio durante il trasferimento della principessa dall’Austria alla Francia. Il passaggio dal ruolo di principessa d’Austria a quello di delfina di Francia è rappresentato dalla scena del cambio degli abiti. In questa sequenza Maria Antonietta viene spogliata dei candidi indumenti che prima indossava e vestita di un vivace abito azzurro, completo di tricorno piumato. La metamorfosi non è priva di traumi. Prima di entrare in terra francese, la futura sposa deve lasciare tutto ciò che appartiene al suo passato nella corte austriaca, compreso il suo cagnolino e le sue amiche. Una volta uscita dalla tenda che ha ospitato la cerimonia, Maria Antonietta è pronta per essere la futura regina di Francia, o almeno ne ha l’apparenza.
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Un altro punto di svolta è il momento in cui la giovane delfina riceve una lettera dalla madre, che le rimprovera il fallimento nell’aver concepito un erede. La cognata di Maria Antonietta ha già avuto un maschietto e questo mette in pericolo la posizione della delfina all’interno della corte. Maria Antonietta è disperata e si rifugia nelle sue stanze. Qui si abbandona al pianto, accasciandosi contro il muro. In questa scena il tessuto dell’abito che indossa e la carta da parati sono pressoché identici. L’effetto è quello di far scomparire il personaggio, che sembra fagocitato dall’ambiente che lo circonda, dalle aspettative che gravano sulle sue spalle e dall’impotenza che lo paralizza.
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I colori predominanti sono le delicate tinte pastello. Fanno eccezione gli abiti del lutto e quello del ballo in maschera. In quest’ultimo Maria Antonietta, scappata con gli amici dalla corte per partecipare a una festa a Parigi, incontra il conte Fersen, con cui inizierà una relazione extra matrimoniale. In questa occasione il vestito indossato dalla futura regina è completamente nero e il modello si discosta da quello del diciottesimo secolo, per sottolineare la dimensione fantastica del ballo in maschera, unico momento in cui Maria Antonietta può dimenticarsi delle responsabilità che la angosciano.
Le sequenze che mostrano gli eccessi della vita di corte sono tra le più divertenti del film. Vediamo il parrucchiere di corte costruire acconciature altissime e piene di piume e frutti. In una delle scene più iconiche vengono mostrate le scarpe disegnate apposta da Manolo Blahnik e accanto ad esse un paio di Converse All Star color malva.
Dopo l’incoronazione e la nascita della prima figlia, la regina pone un freno alle feste e alla vita mondana. Il re fa dono alla moglie del Petit Trianon, residenza amena in cui Maria Antonietta si rifugia, vivendo il sogno della vita agreste. In questo luogo la sovrana veste candidi abiti da campagna, molto più semplici e poco appariscenti.
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L’idillio bucolico della regina, solo apparentemente genuino, ha fine poco prima della nascita del delfino. Da qui in poi le vicende di Maria Antonietta si fanno sempre più buie, tra lutti e rivolte popolari. Anche gli abiti si fanno dimessi e quando il popolo inferocito giunge a Versailles coglie la regina in camicia da notte. Maria Antonietta affronta la folla completamente disarmata, spogliata dei propri abiti sfarzosi, che erano l’unica fugace gioia nella sua vita vuota.
GRAND BUDAPEST HOTEL
Appurata la capacità della Canonero di ricreare abiti appartenenti a epoche passate, è importante notare la sua bravura nel vestire personaggi di una realtà immaginata. È il caso di Grand Budapest Hotel. Capolavoro indiscusso di Ws Anderson, questo film porta alla luce un nostalgico albergo di lusso degli anni trenta, nell’immaginario stato di Zubrowka, in Europa orientale. Milena Canonero aveva già collaborato più volte con il visionario regista statunitense. Non ha avuto alcun problema ha popolare un altro mondo di Anderson.
Il film è diviso in tre linee temporali, una del 1932, una del 1968 e una del 1985. La più affascinante è sicuramente la prima, in cui si svolge il grosso dell’azione. Le uniformi dello staff dell’hotel sono fedeli per stile e taglio a quelle in uso negli anni trenta, ma si differenziano per il colore. Il viola utilizzato è molto più brillante dei toni dimessi che caratterizzavano normalmente le divise, e crea un perfetto contrasto con il rosso acceso dell’ascensore dell’albergo. Inoltre il colore è un segno distintivo del Grand Budapest, mentre gli altri alberghi della Società delle Chiavi Incrociate (una sorta di società segreta di concierge) sono contraddistinti da uniformi di colori differenti (blu, rossi e verdi).
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Il personaggio principale, Monsieur Gustave, è sempre impeccabile nel suo completo da concierge, con tanto di spilla d’oro della Società appuntata alla giacca. Tuttavia nel suo momento più basso, la carcerazione in seguito a una falsa accusa di omicidio, lo vediamo decadere anche nel vestiario. In prigione gli viene fatta indossare la tipica uniforme a righe, nonostante non fosse più in uso in Europa da almeno trent’anni. È chiaro che l’intento sia quello di rendere comica la situazione. Le maniche dell’uniforme sono corte e la stessa è probabilmente una taglia unica, in contrasto con gli abiti perfettamente su misura di Monsieur Gustave.
Non è stata prestata meno attenzione ai personaggi minori. Basti pensare a Madame D. La ricchissima novantenne è un personaggio fuori dal suo tempo. Il suo vestiario è un’accozzaglia di ere diverse: copricapo anni venti, vestito anni trenta e acconciatura alla Belle Époque. Per mostrare la sua passione per il collezionare opere d’arte, la Canonero ha usato delle stampe ispirate ai dipinti di Klimt per l’abito e il cappotto di Madame D. Il cappotto di velluto e pelliccia è stato fornito da Fendi e le innumerevoli valigie sono state realizzate da Prada.
Diametralmente opposta, per età e ceto, è Agatha. La giovane pasticciera indossa un semplice abito a maniche corte, sotto cui mette un maglioncino che la riscaldi. I colori sono coordinati a quelli dei dolci di Mendl’s. L’unico accessorio che la caratterizza è il medaglione con le chiavi incrociate regalatole da Monsieur Gustave.
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Restiamo ora in attesa di The French Dispatch, che Wes Anderson ha definito “una lettera d’amore nei confronti dei giornalisti, ambientata nella sede di una rivista statunitense in una città francese del XX secolo”.
FONTI
Biografia e carriera
Barry Lyndon
Momenti di gloria
Marie Antoinette
Grand Budapest Hotel