Il duello: pratica antica e topos del grande Cinema

Il duello. Una pratica antica che ha attraversato diverse epoche storiche, talvolta strumento onorevole utilizzato per saldare conti in sospeso, talvolta solo attimo brutale, confine troppo sottile tra vita e morte. Una pratica da sempre affascinante, approdata in alcuni sport della modernità, raccontata dai libri e ben raffigurata anche dalla Settima Arte.

Il cinema ha preso il duello e lo ha narrato, modellato, adattato a diversi contesti, epoche e generi. Resa dei conti, introduzione narrativa, scontro fra titani, lotta per la sopravvivenza: differenti forme ed espedienti per raccontare lo scontro. Pistole, spade, bacchette, mani nude, robot. Diversi strumenti, una sola contesa. Una sola lotta, dal gusto primordiale, per decretare il migliore.

Sergio Leone: l’arte del duello nel vecchio West

Non è un segreto che il Western sia un genere cinematografico di lunga data. Apparso già sul finire del XIX secolo, agli albori della Settima Arte, esso ha cavalcato nei decenni successivi attraverso le terre sconfinate del cinema, affermandosi sempre più come genere di successo e coinvolgendo grandi nomi davanti e dietro alla cinepresa, come gli acclamati John Ford e John Wayne.

A contribuire a questa lunga tradizione anche uno dei registi nostrani più conosciuti al mondo, quel Sergio Leone che ebbe modo di imparare dai suoi predecessori ed elaborare pellicole entrate di diritto nell’Olimpo dei grandi capolavori.

Il vecchio e selvaggio west trova in Leone nuovo respiro, nuova tecnica e un paradigma strutturale che farà la fortuna del regista: un misterioso biondo, una trama avvincente, una sceneggiatura equilibrata e una colonna sonora da brividi. Il duello, componente narrativa essenziale, compare sempre in veste di resa dei conti finale; una resa dei conti gestita però sempre con l’originalità del maestro e del suo multiforme ingegno.

Per un pugno di dollari: fucile e pistola

Secondo lungometraggio di Sergio Leone dopo Il Colosso di Rodi, Per un pugno di dollari rappresenta l’esordio western del regista, punto di partenza per una rivoluzione straordinaria di questo genere cinematografico. Da una parte i Rojo, dall’altra i Baxter; due famiglie separate da un odio viscerale; nel mezzo un uomo solo, furbo, camaleontico.

Il duello, componente necessaria per dirimere le sorti della storia, sembra presentarsi come lotta impari, tra fucile e pistola, tra Ramon e l’uomo misterioso. Uno scontro che tuttavia sceglie di trascendere le regole del gioco, per tingersi di sfumature sovrannaturali, grazie a una placca di metallo sul cuore che dona allo sfidante di Ramon parvenza di immortalità. Tolta questa, tolto il fucile, rimangono due uomini, sporchi di polvere; la velocità salverà la vita di uno.

Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto.

Per qualche dollaro in più: il carillon

Cambia il titolo, l’ambientazione rimane la stessa. La terra al confine messicano nasconde tre storie diverse, quella del monco, del colonnello Mortimer e del pazzo drogato chiamato El Indio. Tra vecchi saloon,  proiettili, evasioni e casseforti, Leone conduce la sua pellicola attraverso gli stretti sentieri del risentimento, lasciando a un nuovo duello il compito di assolvere da giudice della contesa.

Due uomini diversi posti l’uno di fronte all’altro, nel mezzo uno sconosciuto, spettatore interessato ed escluso. Da un lato una figura onorevole con un passato nell’esercito, dall’altro un criminale incallito, preda dell’oppio. A unirli una vecchia storia, un passato di tragedia, una donna. A segnare il conto alla rovescia del loro scontro, la dolce melodia di due carillon identici. Una musica che sa di ricordo, famiglia, amore. Una musica che sa di morte, stupro, pazzia.

Il buono, il brutto, il cattivo: il triello

File:SERGIO LEONE.jpg - Wikimedia Commons

Il buono, il brutto, il cattivo è il terzo e ultimo capitolo della cosiddetta trilogia del dollaro, un viaggio durato circa tre anni, alla riscoperta del west, delle sue storie e dei suoi protagonisti. Sergio Leone sceglie un nuovo trio, una nuova avventura, tra vecchie conoscenze attoriali e new entry. Ad arricchire il tutto è una struttura storico-narrativa perfettamente amalgamata. Le vicende dei personaggi si intersecano saggiamente al contesto temporale in cui sono inserite, lasciando che la guerra civile, gli eserciti e i campi di prigionia facciano da adeguato sfondo alla materia trattata.

L’originalità e la maturità di questo terzo capitolo emergono anche nel momento clou dell’intera pellicola, rappresentato ancora una volta dal duello finale, qui sotto forma del leggendario triello.

Il buono, il brutto e il cattivo, tre uomini identificati da un aggettivo eppure così complessi e di definizione incerta. Un’arena, tre pistole, un cimitero e una fossa pronta a riempirsi. La macchina da presa passa velocemente in rassegna lo sguardo dei tre, saltellando tra gli occhi buoni, brutti e cattivi dei rispettivi proprietari. I battiti dei loro cuori scandiscono gli attimi di tensione che precedono lo sparo. In palio c’è la vita e un gran bel mucchio di dollari.

C’era una volta il West: silenzio al tramonto

Appena due anni dopo Il buono, il brutto, il cattivo, Sergio Leone realizza C’era una volta il West, primo capitolo della nuova trilogia del tempo, progetto proseguito qualche anno dopo con Giù la testa (1971) e che troverà degna conclusione solo nel 1984 con il commovente C’era una volta in America.

Nella pellicola di apertura del ciclo, il regista inizia una nuova fase cinematografica salutando un vecchio West ormai al tramonto. C’era una volta il West racconta di un’epoca che volge al termine, del treno come belva del progresso, pronta a divorare la desolazione di terre un tempo abbandonate. In questo quadro nostalgico si muove Armonica, così chiamato per lo strumento che porta sempre con sé. Un uomo solitario, tormentato, in cerca del suo carnefice e di vendetta.

Il quarto e ultimo vero duello del cinema di Leone raccoglie in sé le caratteristiche dei tre che lo hanno preceduto. Ancora una volta la polvere della terra sembra pronta a macchiarsi di sangue, mentre il silenzio tombale che circonda l’uomo misterioso e il suo avversario Frank lascia spazio all’ennesima travolgente melodia elaborata dal fedele maestro Morricone. Il suono stridente dell’armonica a fare da perenne sfondo musicale, la macchina da presa a stringere progressivamente sui profondi occhi verdi del protagonista, in cerca di un passato di dolore, in cerca di risposte, in cerca di un perdono che non potrà mai essere trovato.

Dai pirati a Tarantino: maestri di spada

Non solo le pistole, non solo proiettili o polvere da sparo. L’arte del duello si è sempre contraddistinta anche per l’utilizzo di un altro strumento: la spada. Una tradizione anch’essa di lunga data, che affonda le sue radici nella scherma medievale e rinascimentale e molto deve ad un’opera del 1536 scritta a Modena da Achille Marozzo. Inutile sottolineare come spade e duellanti siano stati più volte materia privilegiata dal cinema, che ha avuto modo di raccontarla da punti di vista notevolmente differenti.

Pirati dei Caraibi: capitan Jack Sparrow

Primi anni 2000. Johnny Depp viene ingaggiato per una saga dedicata ad entusiasmanti avventure piratesche: è la nascita del folle e geniale capitan Jack Sparrow. La maledizione della prima luna, primo tassello di una saga destinata a sbancare il botteghino, introduce lo spettatore in un’ambientazione affascinante quale il mare dei Caraibi; un mondo di pirati, tesori luccicanti e antiche maledizioni. Sebbene la pentalogia cinematografica risulti particolarmente ricca di duelli, il primo scontro a fil di spada fra due dei principali interpreti della storia ha un sapore particolare. Uno scontro introduttivo, capace di immergere lo spettatore nel clima del tempo e della vicenda e di rivelare in maniera subitanea colpi e carattere dei due uomini.

Credi sia saggio, ragazzo, incrociare le lame con un pirata?

Jack Sparrow da un lato, William Turner dall’altro; l’umile bottega di un fabbro isola i due dal resto del mondo, permettendo ad entrambi di rivelare la propria natura. Non vi è solo comicità macchiettistica o dura tempra da gran lavoratore, bensì l’abilità di un vero bucaniere e il coraggio di un ragazzo senza paura. Quanto segue è pura gioia per gli occhi, tra rapidi giochi di gambe, clangore metallico e movimenti simil-acrobatici. Da una parte la voglia di fuga, dall’altra il desiderio di fare la cosa giusta; criminale o uomo per bene: l’esito sarà tutt’altro che banale.

Tarantino: la fine nel mezzo

Kill Bill 2, poster of martial arts film free image

Quando il sadismo di un assassino cancella ogni tua speranza di avvenire, il perdono non è un’opzione che può essere contemplata. Tutto ciò che rimane è solo odio, puro desiderio di vendetta; il tuo corpo diventa macchina di morte, insaziabile, inesauribile.

Potrebbero forse bastare queste poche parole per riassumere la trama di Kill Bill, grande successo tarantiniano suddiviso in due volumi. La Sposa alla ricerca dei suoi carnefici; una donna, un contenitore svuotato, mosso solo dalla possibilità di ottenere giustizia con le proprie mani. Entrambe le pellicole sono all’insegna della lotta, vita e morte risultano gli unici esiti possibili.

La divisione in due parti della storia permette però al regista di realizzare una scelta narrativa particolare, trasformando un duello da resa dei conti in un semplice anche se determinante momento di passaggio, punto mediano dell’intero racconto.

Un duello tutto al femminile fra due donne assetate di sangue. Due donne dal passato sofferto, due donne armate di spade affilate. Non spade qualsiasi, non vecchi ferri arrugginiti o lame piratesche, bensì antichi strumenti di morte, progettati dalle sapienti mani del fabbro-samurai Hattori Hanzo. La tradizione onorevole di un popolo nelle mani di due provette assassine, la loro rapidità di movimenti a consacrare uno scontro alla pari. Ma solo il sangue di una bagnerà la terra sotto ai loro piedi, tingendo di un rosso scarlatto la candida neve che la ricopre.

Fantasy e fantascienza: maestro vs allievo, umano vs alieno

Nati in ambito letterario e sviluppatisi compiutamente nel corso del secolo scorso, fantasy e fantascienza sono generi profondamente distinti tra loro eppure uniti da quella grande capacità immaginativa propria dell’essere umano. Eventi soprannaturali, mitologici, creature inesistenti, magia o ancora galassie lontane, robot futuristici, alieni improbabili. Componenti recuperate ed elaborate dalla Settima arte, perennemente alla ricerca della giusta ricetta per stimolare la fantasia dello spettatore.

Da Star Wars a Harry Potter: spade laser e bacchette

Una galassia lontana lontana e una scuola di magia, un universo cinematografico e uno di ispirazione letteraria; così diversi, così intrinsecamente simili. A dividerli un’idea creativa che affonda da un lato nella space opera, dall’altro nel cosiddetto Urban fantasy; a unirli una struttura narrativa incentrata sullo scontro tra bene e male, tra Jedi e Sith, fra maghi buoni e maghi oscuri.

Ulteriore punto in comune è inoltre rappresentato dallo scontro tra il maestro e il suo allievo, topos affrontato da entrambe le saghe anche se con modalità differenti. Il terzo capitolo di Star Wars si conclude con l’epica battaglia fra Obi-Wan Kenobi e il giovane Anakin Skywalker, uno scontro decisivo che unisce la fine al principio e determinerà il passaggio del ragazzo al lato oscuro della Forza e la conseguente nascita del principale antagonista della saga originaria: l’oscuro Dart Fener.

 Tu eri il prescelto! era scritto che distruggessi i Sith, non che ti unissi a loro!

Il duello spettacolare della quinta pellicola di Harry Potter, pone invece al centro un vero e proprio scontro fra titani, una lotta tra l’anziano Albus Silente e un rinato Lord Voldemort, massimo esponente di una malvagità senza limiti. Due epici duelli, visivamente impattanti, dominati dallo sfolgorante bagliore delle spade laser e dalla maestria magica di due mostri sacri, dal rosso intenso della lava e dal buio notturno di una grande sala. Bene e male, luce e oscurità, insegnante e discepolo.

Aliens-Scontro finale: lotta per la vita

Se è vero che il cinema si è sempre dedicato allo Spazio, è altrettanto vero che le sue raffigurazioni sono mutate nel corso degli anni e delle epoche, oscillando spesso tra luogo di opportunità e locus horridus.

Un perfetto esempio di quest’ultimo caso è indubbiamente l’acclamata saga di Alien, ideata nel ’79 da Ridley Scott e proseguita da diversi cineasta. Il secondo lungometraggio del franchise, diretto dal maestro Cameron, è uno dei capitoli maggiormente apprezzati da pubblico e critica. La pellicola infatti riprende il film che l’ha preceduta approfondendone tematiche e proseguendo un racconto già avvincente.

Aliens-Scontro finale trova nel suo titolo un ottimo sunto della sua storia. Il tenente Ellen Ripley torna sul pianeta che ha affollato i suoi incubi per affrontare la razza aliena che ha massacrato il suo team e la colonia insediatasi sul medesimo corpo celeste. Il film è un susseguirsi di forti emozioni al cardiopalma e gli ultimi minuti non sono da meno. Lo scontro tra Ripley, al comando di un robot, e il mostro alieno che la minaccia di morte è un gioco di montaggio alternato che ben restituisce il clima adrenalinico della lotta. Non solo un duello finale bensì una vera e propria lotta per la sopravvivenza; l’uomo affronta il mostro, il pianeta Terra affronta l’oscurità di galassie sconosciute. Ci sarà un solo vincitore.

Rocky, The fighter, Clint Eastwood: a mani nude

La lotta fa parte dell’uomo fin dalle epoche preistoriche. La razza umana, nel bene e nel male, è sempre stato guidato da un atavico impulso al confronto, all’autoaffermazione. Prima delle spade, dei proiettili, prima che la forza immaginifica della nostra razza ideasse mondo altri e stravaganti, l’uomo si è servito dei soli strumenti in suo possesso: le mani nude.

Una pratica presto divenuta sfogo sportivo e confluita nel mondo del pugilato, della lotta libera. Una pratica che, ancora una volta, il cinema ha saputo catalizzare nel racconto di grandi storie. Ricordarle tutte sarebbe forse impossibile, ma è comunque importante tentare di tributare quantomeno un pensiero alle grandi pellicole appartenenti a questo genere.

La mente corre alla saga di Rocky, il grande e iconico pugile divenuto leggenda, caduto e rialzatosi tante volte per tentare di raggiungere il trionfo; un Rocky protagonista di incontri cult nella storia del cinema, tra frasi immortali e finali al fotofinish da cineteca.

Pensiamo al più recente The Fighter, commistione di droga e boxe, storia di resistenza e fratellanza, di una vita spesa per un incontro valido per il titolo. O ancora al genio di Clint Eastwood, regista dell’indimenticabile Million Dollar Baby, ricco di incontri, lacrime e sudore in un ambiente in bilico tra violenza, rispetto e perseveranza. Pellicole diverse, storie differenti, un’unica grande passione, un unico ring per assegnare la vittoria.

Chiamiamolo duello, scontro, lotta, cambiamo gli strumenti e la funzione narrativa. Ciò che resta è il Cinema e una tradizione che la storia e la letteratura hanno consegnato al grande schermo perché venisse glorificata.

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