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Un’Operetta morale al mese: maggio è “Il Parini, ovvero della gloria”

Università, svolta inglese: ‘Basta studi umanistici’”: così Il Messaggero titolava un articolo pubblicato lo scorso 18 maggio. Ed è davvero una svolta, una catastrofica svolta. Le facoltà umanistiche sono considerate un problema per l’erario inglese: aggiungiamoci anche la loro rinomata “inutilità”, che non guasta, ed ecco che la loro abolizione risulta l’inesorabile passo successivo. Ma sono davvero così “inutili” come si pensa? O meglio, come ormai si è portati a credere a causa dei dilaganti luoghi comuni alimentati da tuttologi improvvisati che ben poco conoscono della materia in questione. La paradossale verità è che se ciascuna di queste bocche toccasse davvero con mano la profondità della formazione classica, soltanto poche di loro – le più orgogliosamente recidive – continuerebbero a definirla superflua. L’Operetta morale che ci accompagnerà nella riflessione sulla questione umanistica e letteraria è Il Parini, ovvero della gloria.

Le Operette morali sono ventiquattro brevi dialoghi e novelle moraleggianti che ospitano creature immaginarie come gnomi e folletti, personaggi illustri come Tasso o Copernico, oppure allegorie naturali come la Morte, la Luna e il Sole. La sorprendente modernità di questo capolavoro firmato Giacomo Leopardi risiede nella scelta dei temi e nel tono satirico con i quali sono trattati: il rapporto dell’uomo con il mondo, le sue relazioni con gli altri individui, la degradazione dell’epoca moderna e l’infelicità.

Il Parini, ovvero della gloria si configura come un breve trattato suddiviso in dodici capitoli, i cui primi sei sono dedicati alle numerose difficoltà che lo scrittore desideroso di sfondare nel panorama letterario potrebbe incontrare. Lo spunto polemico di Leopardi è indirizzato ai suoi contemporanei: insensibili all’immaginazione e all’emozione, non sono in grado di notare alcunché di rilevante nelle scritture letterarie, anche in quelle più poetiche.

Gli uomini naturalmente tardi e freddi di cuore e d’immaginazione […] sono quasi al tutto inabili a sentenziare convenientemente sopra tali scritti […]; a quelli non perviene da lettura tale alcun moto, alcun’immagine, e quindi alcun diletto notabile.

Nei restanti capitoli Leopardi – dietro la maschera di Giuseppe Parini – elabora la tesi secondo cui scrittori e filosofi, seppur grandi, sono comunque destinati a non ricevere alcun riconoscimento in vita. L’unica speranza a cui aggrapparsi risiede nella possibilità di ottenere fama e immortalità presso i posteri.

Il finale, tuttavia, è positivamente stoico. È vero, la vita culturale moderna è ormai degradata, e non tiene più conto dei valori autentici. Ma questo non deve in alcun modo costituire un pretesto per il disimpegno: lo scrittore, destinato a un futuro di solitudine e oblio, dovrà comunque perseverare nella propria opera di divulgazione artistica e culturale, nel nome della dignità intellettuale.

Verso un mondo asettico e omologato

Dunque, ne Il Parini, ovvero della gloria Leopardi affronta le difficoltà incontrate da tutti quegli scrittori che intendano conseguire la gloria letteraria in una società nella quale agli studi umanistici non viene riconosciuto il ben che minimo rilievo. Niente di nuovo sul fronte occidentale, per citare il celebre titolo di E. P. Remark. O meglio, qualcosa di nuovo c’è: oggi le facoltà umanistiche vengono addirittura soppresse dalle università.

Creano poco lavoro e tanti debiti. Le facoltà umanistiche inglesi chiudono corsi e dipartimenti“: così, sotto il governo di Boris Johnson, l’Inghilterra decide di attuare un taglio netto sui fondi destinati ad alcune facoltà artistiche a partire dal prossimo autunno. L’azione estrema punta innanzitutto a incentivare lo studio delle materie tecnico-scientifiche, più redditizie – secondo stime riportate dal «The Times» – in una prospettiva lavorativa. La London South Bank University si preparerebbe così a chiudere i dipartimenti di Storia e Geografia, la Hull University a rinunciare ai corsi di laurea in Lingue straniere, e la Aston University a dire addio agli atenei di Storia e Lingua.

Il numero record di persone che hanno scelto i corsi di scienza e ingegneria dimostra che molti stanno iniziando ad abbandonare i corsi senza sbocchi, che lasciano ai giovani nient’altro che debiti.

Questo il commento di Gavin Williamson, Segretario di Stato per l’istruzione del Regno Unito. Dunque, da una delle massime cariche in ambito culturale, filosofia, letteratura, storia e lingue vengono semplicemente ridotte al rango di “corsi senza sbocchi”, scansando senza il minimo indugio l’ipotesi che, sotto il mero aspetto economico, possa nascondersi qualcosa in più. È chiaro: i laureati in facoltà umanistiche faticano maggiormente a trovare lavoro rispetto agli altri laureati; per questo motivo non riescono a saldare celermente i debiti universitari. Epilogo: le facoltà umanistiche sono inutili.

Forse, però, prima di approdare a simili congetture bisognerebbe anzitutto sgomberare il campo da un terribile equivoco: dove sta scritto che le materie di istruzione debbano necessariamente avere un’immediata ricaduta pratica in ambito operativo, per essere considerate “utili”? Una tale concezione utilitaristica del sapere tralascia inevitabilmente un fattore essenziale: l’importanza delle facoltà umanistiche a livello prima di tutto umano. La filosofia, la storia, la letteratura, le lingue, sono degli strumenti potentissimi per plasmare la personalità, assimilare l’arte del ragionamento, conoscere e interiorizzare la complessità dell’esperienza umana. La filosofia implementa una forma mentis che abitua a interrogarsi sul mondo e le sue cose; la storia consente di conoscere ciò che è stato prima, per preservare ciò che sarà poi; la letteratura accresce il proprio bagaglio esperienziale, ponendo l’individuo in contatto con un’umanità multiforme.

Tra le conoscenze tecnico-scientifiche e quelle umanistiche, intercorre una grande differenza: quella tra il semplice “sapere” e il “comprendere”. Il primo può essere asettico, impersonale, lineare. Insomma, il sapere può anche essere implementato in una macchina. Il “comprendere”, invece, va inteso nel senso di “cum-prendere”, “prendere con me”, “abbracciare”: soltanto un sapere “abbracciato”, cioè sinceramente interiorizzato, può cambiare la vita. E l’uomo può abbracciare genuinamente solo i valori che gli arrivano dritti al cuore, come la bellezza, il senso delle cose, le virtù e le emozioni; fenomeno che non avviene, al contrario, con calcoli impersonali e abilità acquisite meccanicamente. C’è poco da fare: soltanto una comprensione della vita in senso pieno (e quindi del bene, della felicità, della giustizia… tutti saperi non formalizzabili) può restituire la radice ultima della complessità del reale.

(Emanuele, studente di filosofia presso “La Sapienza” di Roma)

Che mondo potrà mai essere quello in cui tutti saranno capaci di utilizzare perfettamente, ad esempio, gli ultimi approdi dell’informatica, ma nessuno sarà in grado di formulare ragionamenti inediti, di interrogarsi su ciò che lo circonda, di empatizzare nei confronti delle diversità?

Nient’altro che un mondo omologato, inetto, asettico. Come direbbe Leopardi, un mondo dominato dalla ragione geometrica e da uno stato di freddezza e mortificazione delle idee e delle passioni.


FONTI

Ilmessaggero.it

Avvenire.it

Huffingtonpost.it

Giacomo Leopardi, Operette morali, a cura di Laura Melosi, Bur, 2008

CREDIT

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