Dormire in due distinte fasi anziché le canoniche otto ore potrebbe essere la svolta per i problemi del sonno da cui molte persone sono colpite.
La teoria
Dormire in due fasi è stato per molto tempo qualcosa che le persone facevano naturalmente perché meglio si adattava alla vita dell’antichità, quindi con il lavoro agricolo e con quello artigianale.
Le ricerche che riguardano il cosiddetto sonno bifasico sono iniziate a partire dagli anni Novanta. Queste ricerche sono state condotte da uno storico americano, Roger Ekirch, che insegna all’Università Virginia Tech, uno dei centri di ricerca più importanti degli Stati Uniti. Ekirch ha intrapreso lo studio sulle abitudini notturne delle persone prima della rivoluzione industriale. Le sue ricerche lo portarono a formulare la teoria del “sonno bifasico”, secondo la quale la pratica di dormire otto ore di fila è solo una convenzione adottata dall’uomo moderno determinata dall’utilizzo della luce artificiale.
Gli studi di Ekirch sono frutto della consultazione di molti documenti antichi tra cui articoli di giornale, trattati scientifici e atti giudiziari, risalenti a un periodo storico che va dall’alto medioevo alla rivoluzione industriale appunto. Molti dei documenti analizzati riportano dei riferimenti alla pratica del “sonno spezzettato” e non solo in relazione all’Occidente, ma anche in altri Paesi del mondo.
Il sonno bifasico
Nello specifico, le persone di notte erano solite dormire in due fasi distinte definite “first sleep” e “second sleep“. Ekirch trovò una corrispondenza di tali definizioni anche nelle lingue romanze: “primo sonno” in italiano, “premier sommeil” o “premier somme” in francese, “primo somno” o “concubia nocte” in latino. In alcuni documenti esaminati lo stato tra un sonno e l’altro era definito “dorveille“, l’equivalente in italiano sarebbe “dormiveglia” e ancora oggi viene utilizzato per definire la condizione intermedia tra il sonno e la veglia.
La tesi sostenuta da Ekirch nel suo libro At Day’s Close: A History of Nighttime, spiega come il sonno bifasico sia stato il modello dominanteper migliaia di anni. Questa secondo Ekirch era una predisposizione ereditata addirittura dai nostri antenati preistorici. I riferimenti al “primo sonno” sono presenti già nelle opere di Omero, Plutarco e Virgilio.
Le persone nell’antichità, secondo le sue ricerche, dormivano in due fasi distinte intervallate da un paio d’ore di veglia, solitamente tra le 23 e l’una. Le ore di veglia generalmente venivano impiegate per attività come per esempio la preghiera, lo studio, le conversazioni con amici e familiari, le attività sessuali e la riflessione.
Una notte tipo nel XVII secolo
Generalmente nel XVII secolo, le persone andavano a dormire alle 21, per la prima fase di sonno che durava fino alle 23. Le persone più ricche dormivano adagiate su materassi imbottiti di piume; i benestanti, su materassi imbottiti di paglia o di stracci; le persone più povere invece su giacigli di erica selvatica o anche per terra e senza coperte. La maggioranza delle persone era povera e condivideva lo stesso ambiente se non lo stesso letto. Durante i viaggi era consuetudine dormire con persone sconosciute ed esistevano delle convenzioni sociali da rispettare per evitare disagi durante situazioni di questo tipo (come per esempio evitare il contatto fisico o cercare di non rigirarsi troppo nel letto).
Il fattore della comodità avrà senza dubbio giocato un ruolo molto importante. Le superfici sulle quali le persone dormivano rendevano infatti più difficile dormire per lunghi periodi di tempo senza svegliarsi di soprassalto. Da tenere conto c’è anche il discorso legato ai problemi di salute, molto più frequenti e meno curabili rispetto ad oggi. Tal volta i dolori potevano insorgere nel cuore della notte provocando l’interruzione del sonno.
Le ore di veglia
L’abitudine di dormire a fasi alterne è comunque considerata quella da cui gli esseri umani traevano maggiori benefici.
Dopo la prima fase di sonno, c’era quella di “veglia” che generalmente durava un paio d’ore, si stima dalle 23 all’una circa, in base all’ora di inizio del primo sonno. Il risveglio era una cosa che avveniva naturalmente secondo l’orologio biologico, non era causato da rumori o altri tipi di disturbi notturni. La sveglia non esisteva, è stata inventata infatti a fine Settecento.
Le ore di veglia erano considerate come un momento per prendersi cura di se stessi, adatto per esempio per l’assunzione di pozioni magiche o pillole curative, ma anche un momento da dedicare a preghiere specifiche per questo lasso di tempo, allo studio e alla riflessione filosofica, muovendosi per casa utilizzando la luce di candele e lampade a olio.
Il tempo di veglia poteva anche essere utilizzato per attività domestiche o contadine, a seconda delle mansioni diurne che ognuno svolgeva. Erano utili per controllare gli animali della fattoria, per sistemare la legna o pettinare la lana.
Quella del sonno bifasico diventò un’abitudine sempre meno condivisa dopo la Rivoluzione Industriale. Grazie all’illuminazione artificiale le persone potevano rimanere sveglie più a lungo e andare a dormire più tardi, favorendo una compressione del sonno.
Il sonno bifasico oggi
La giornalista Danielle Braff, in un articolo del «New York Times», ha scritto come durante il periodo di pandemia l’abitudine di dormire in due fasi distinte sia stata riscoperta.
Nello specifico racconta le esperienze di una donna di 50 anni e un uomo di 52. La prima, madre di tre figli, durante il lockdown ha iniziato a svegliarsi alle 3 del mattino, a fare yoga e meditazione, per poi rimettersi a dormire ed essere svegliata alle 7 dalla figlia più piccola.
L’uomo invece, che aveva sofferto di insonnia, si è documentato sul sonno bifasico, ha iniziato ad andare a dormire verso le 22 e oggi si sveglia naturalmente verso le 2, legge per un paio d’ore e poi si rimette a dormire fino alle 7. Ritiene che probabilmente fosse ciò che il suo corpo stava cercando di fare prima ancora di metterlo in pratica consapevolmente.
Braff associa questo tipo di abitudini ai cambiamenti apportati alle nostre vite dalla pandemia e al fatto che molte persone lavorino da casa, con orari più flessibili e modificando la maniera in cui impiegano il tempo durante la giornata.
Nell’antichità infatti non c’era la fretta di alzarsi e raggiungere l’ufficio, di andare a prendere il treno o di accompagnare i propri figli a scuola. La maggior parte dei lavori veniva svolta nei pressi della propria casa. Il sonno non era determinato da un orologio ma dai cicli fisiologici che si ripetono ogni 24 ore.
È probabile che le nostre vite frenetiche e sregolate abbiano modificato la nostra maniera di dormire. In ogni caso dovremmo attendere degli studi più approfonditi per verificare che davvero dormire a fasi alterne possa apportare dei benefici maggiori rispetto alla pratica, auspicata dai più, di dormire otto ore di fila.