Nel 1973 Elena Gianini Belotti, nota pedagogista, pubblicò Dalla Parte delle Bambine, un saggio che divenne una pietra miliare per quanto riguarda il nascente movimento femminista. Dalla Parte delle Bambine raccontava di come la figura femminile, fin dalla sua nascita, sia stata educata all’inferiorità, attraverso un addestramento culturale e sociale che trovava la sua massima espressione negli ambienti educativi, tra cui la scuola. Elena Gianini Belotti mise in luce tutti quegli aspetti ombra della pedagogia, automatismi che si consolidano fin dalla più tenera età, in entrambi i sessi, che concorrono a creare un sistema sociale che mortifica e aliena tutti gli individui. Il maschio deve essere forte, avventuroso, spietato, aggressivo. La donna deve essere dolce, accudente, remissiva. Elena Gianini Belotti scriveva:
La parità di diritti con l’uomo, la parità salariale, l’accesso a tutte le carriere sono obiettivi sacrosanti e, almeno sulla carta, sono già stati offerti alle donne nel momento in cui l’uomo l’ha giudicato conveniente. Resteranno però inaccessibili alla maggior parte di loro finché non saranno modificate le strutture psicologiche che impediscono alle donne di desiderare fortemente di farli propri. Sono queste strutture psicologiche che portano la persona di sesso femminile a vivere con senso di colpa ogni suo tentativo di inserirsi nel mondo produttivo, a sentirsi fallita come donna se vi aderisce e a sentirsi fallita come individuo se invece sceglie di realizzarsi come donna.
Erano gli anni Settanta. Un’altra epoca. Ha senso, adesso, parlare di discriminazione di genere? Secondo Loredana Lipperini, scrittrice e giornalista, la risposta è sì. Avviene così un vero e proprio passaggio di testimone, dove Loredana Lipperini continua il lavoro di Elena Gianini Belotti attraverso la pubblicazione del saggio Ancora dalla Parte delle Bambine.
Lipperini ci pone di fronte a un’analisi lucida e intelligente, frutto di numerosi studi e ricerche. Un’analisi delle bambine e delle donne, di quello che desiderano e sognano.
Il risultato desta angoscia: rispetto a trent’anni fa non è cambiato molto. La donna ha acquisito maggiori diritti e libertà ma le strutture psicologiche sono rimaste le stesse. E senza l’abbattimento di esse la tanto discussa e agognata parità di genere rimarrà soltanto un’utopia.
Il mondo rosa delle bambine
È ancora rosa il mondo delle bambine, basta guardarsi attorno. Rosa è la loro playstation, i capelli delle loro bambole e i loro vestitini. Lo sono i blog affollati da piccole adolescenti che si scambiano consigli su come dimagrire. Rosa sono i libri che leggono.
In Ancora dalla Parte delle Bambine vengono sviscerati con profondità molti temi, tra cui il marketing pubblicitario destinato all’infanzia.
Secondo le numerose ricerche di Loredana Lipperini, all’interno delle pubblicità avviene una vera e propria divisione dei sessi dove riaffiorano ancora antiche simbologie. Dai mass media, al genere maschile vengono assegnati simboli come il rischio, l’avventura, l’esplorazione del mondo esterno e il coraggio. Al mondo femminile la seduzione, l’attesa negli spazi chiusi e l’esaltazione della propria bellezza. I giocattoli destinati al pubblico maschile richiedono impegno, logica, concentrazione e manualità. Quelli destinati al pubblico femminile vertono ancora sull’accudimento. Lipperini, in Ancora dalla Parte delle Bambine, scrive:
Anche gli stereotipi femminili passano di spot in spot. Lasciando a chi guarda (specie se giovanissima) il dubbio di come si concili la donna delle automobili (che a sua volta è diversa a seconda se deve pubblicizzare una monovolume per mamme o un’auto sportiva per uomini) con quella dei prodotti per la casa, dei cosmetici, e del cibo. […] Ci sono delle profonde incongruenze tra tutte queste tipologie di donne rappresentate. Nella confusa femmina pubblicitaria, la bambina si specchia e a volte si riconosce. […] Dunque le bambine si osservano nello specchio di una femminilità multipla, ma con due imperativi principali: piacere e accudire.
Lipperini sottolinea in Ancora dalla Parte delle Bambine che la responsabilità non è da attribuire ai mass media. La pubblicità è lo specchio di una società in cui persiste ancora la divisione tra generi, dove i modelli di femminilità costruiti e trasmessi dalla famiglia, dalle istituzioni scolastiche e dalla letteratura sono ancora profondamente tradizionali. Inoltre, la distinzione tra bambina e donna appare sempre più sfumata, a causa dell’abbassamento dell’entry point, ovvero il punto d’ingresso alla marca. Riviste e programmi televisivi destinati a un pubblico adolescente sono usufruiti da bambine che vanno alle elementari.
Le bambine consumano, e tanto anche. Utilizzano trucchi, cosmetici, indossano bigiotteria. Le bambine guardano cartoni animati come per esempio “Winx Club”. Un cartoon che ha come protagoniste fatine mezze nude dai capelli voluminosi e dalle labbra carnose che raggiungono il successo grazie ai loro poteri magici e non per mezzo della logica. Inoltre, le bambine leggono. Iniziano dai testi scolastici, dove sono scarsamente rappresentate. Sono poche le figure femminili che emergono dai libri di storia, letteratura, arte e scienze. Quello della cultura, del potere e del successo sembrano mondi destinati al genere maschile.
Mamma, voglio la Barbie!
Le bambole assumono un ruolo centrale nel patrimonio ludico delle bambine. Dai bambolotti realistici a cui dare il biberon, alle bambole dai lunghi capelli biondi e con il fisico irrealistico. Le Barbie resistono nella cultura di massa, continuando a suscitare ambiguità e interrogativi. Cosa c’è che non va nelle Barbie? Loredana Lipperini scrive:
A turbare, non è tanto quella seduttività precoce quanto negata, il suo essere sexy come un’adulta e asessuata come un giocattolo. Barbie è un ibrido, nasce da un incrocio fra le bambole di carta con un guardaroba da ritagliare e un sex – toy. Esibisce due seni da capogiro, ma che servono solo a sostenere a dovere le scollature, perché sono finti, levigati, privi di capezzoli. Rappresenta la donna secondo un concetto maschile: priva di quelle parti segrete e terribili. Incarna la femminilità ideale, muta e sigillata.
Ma in primis, quello che più turba, è la loro superficialità. L’universo in cui è immersa la Barbie e le sue sorelle Bratz, è fatto di feste in piscina, ville sontuose e shopping sfrenato. Barbie rimane una promessa d’ozio. Ne La Donna Intera, Germaine Greer scrive:
Barbie è stato uno strumento per insegnare a donne dalle spalle larghe, dalle gambe corte e dal corpo massiccio, alle donne reali di tutto il mondo, a disprezzare il loro corpo come noi disprezziamo il nostro, così da indurle a spendere quel denaro che potrebbe essere impiegato per acquistare libri o computer o biciclette in prodotti di bellezza.
Come non poter citare, nel panorama delle bambole, la famosa Razanne, il cui nome significa scintillante modestia e che ha fra gli accessori un burka. Una bambola destinata ai consumatori musulmani negli Usa e in Gran Bretagna. Inoltre, ci sono numerose altre bambole credenti, alcune con la bibbia in mano. È chiaro che attraverso le bambole si modellano le bambine secondo i valori di una cultura.
Chi vuoi essere, bambina globale? Vuoi essere la seducente Barbie, tutta tette e tacchi, che sposerà il dottor Smith e coltiverà petunie in vasi da esibire in occasione del barbecue domenicale, o vuoi essere Razanne la modesta, dolce miele dell’Oriente, trasparenza e leggerezza delle mille e una notte? Guarda com’è democratico il tuo fabbricante, bambina: ti dà la facoltà di scelta. […] Barbie e Razanne sono l’illusione della femmina che gioca a vivere, e non ha modo di essere individuo. […] Scegli chi vuoi essere bambina italiana o pachistana, bambina serba o bambina bosniaca: Barbie o Razanne? In questo mito in cui cadrai a testa bassa, il tuo vissuto verrà sostituito con l’alienazione. […] Chi vuoi essere bambina? Se tu potessi darmi una risposta logica, diresti: niente. “Io non voglio essere niente di tutto quello che state offrendo. Io scelgo di essere altro”. Ma la logica è uno strumento che Barbie e Razanne, in Italia come in Francia, in Serbia come in Afghanistan, non hanno occasione di usare spesso. […] È difficile spiegare a Barbie e Razanne che dovrebbero rifiutarsi di giocare, perché i dadi sono truccati; è difficile spiegare a loro che il poeta che le esalta non è che la fodera splendente del maiale che le stupra.
Babsi Jones
Educare alla parità di genere
Ancora dalla Parte delle Bambine è stato pubblicato nel 2007 e fin da subito ha riscosso molto successo. Ora, dopo 16 anni, è cambiato qualcosa? Sicuramente l’attenzione nei confronti della discriminazione di genere è cresciuta notevolmente e se ne parla molto di più. C’è maggiore consapevolezza nelle persone rispetto all’importanza di combattere gli stereotipi di genere, promuovendo in questo modo la parità e l’uguaglianza tra generi. È lampante l’importanza di non ridurre l’individuo a meri stereotipi, agendo soprattutto sulle bambine e sui bambini attraverso l’educazione familiare e scolastica. Ma la presenza di stereotipi di genere rimane comunque innegabile e la figura femminile ne esce sfavorevole, a causa della visione limitata e limitante che la società ci restituisce.
WeWord, l’8 marzo 2023, ha presentato un sondaggio intitolato Parole di Parità – Come contrastare il sessismo nel linguaggio per abbattere gli stereotipi di genere, dal quale è emerso che c’è ancora parecchia strada da fare per raggiungere l’uguaglianza di genere. Secondo Martina Albini del centro Studi WeWorld bisogna partire dal linguaggio, dato che esso plasma la realtà.
Da questa ricerca è emerso che sicuramente i bambini di oggi sono esposti a modelli più positivi per quanto riguarda la genitorialità, ma spesso, soprattutto i maschi, cadono ancora vittime degli stereotipi, a differenza delle bambine, che sembrano dotate di maggiore consapevolezza. Dal sondaggio è, inoltre, emerso quanto ancora poco si parla di parità di genere nelle scuole, attraverso programmi educativi specifici.
Risulta quindi necessario partire dagli asili e dalle scuole per contrastare gli stereotipi di genere, educando le bambine e i bambini alla parità di genere, scoraggiando in tutti i modi possibili parole, azioni, pensieri discriminatori e divisivi. Solo attraverso l’educazione, che deve necessariamente avvenire anche in famiglia e tramite i mezzi di comunicazione, si può auspicare a un mondo libero da pregiudizi. Un mondo dove non importa a che genere appartieni. Un mondo fatto di pari opportunità, dove bambine e bambini possano confrontarsi su un terreno neutro e privo di preconcetti. Ma affinché questo avvenga è necessario che gli adulti si schierino ancora dalla parte delle bambine e dei bambini. È necessario che donne e uomini si liberino dalle proprie prigioni mentali, eliminando costrutti sociali oramai inutili. Solo così facendo quel mondo meraviglioso e ricco di opportunità per tutte e per tutti, un giorno, potrebbe diventare reale.