BUIO-qui c’è solo il male.

Mi sveglio lentamente. Cos’è questo tanfo? Apro gli occhi ma continua ad essere buio. Non vedo niente. Non riesco nemmeno a respirare. Cerco di tirarmi su, ho le gambe intorpidite. Vado a tastoni. Sento solo la pietra umida sotto i polpastrelli. C’è della muffa sul muro. Riesco a stare completamente in piedi, dunque il soffitto di questo posto dev’essere bello alto. E’ buio pesto. Mi gira la testa dal puzzo. Sembra come … decomposizione. Come sono finito qui? Cerco di allontanarmi dal muro. Magari c’è qualcos’altro. Non faccio in tempo a fare un passo che do una testata. Sono in un corridoio. Dio, fa un male boia! Mi tocco la fronte. Mi sono tagliato. Non mi resta che andare avanti finché non trovo l’uscita.

Non so dire per quanto cammino. Metri? Chilometri? Chi lo sa? So solo che questo corridoio sembra infinito, e io non so per quanto ancora potrò andare avanti. Il taglio sulla testa continua a sanguinare copiosamente. Direi che mi si stia annebbiando la vista, ma come posso esserne sicuro? Intorno a me non c’è altro che buio. Cammino, cammino, cammino, impreco, continuo a camminare. Il corridoio pian piano diventa un cunicolo. Inizio a pensare di essere in una catacomba. Come ci sono finito? Non lo so, non so più niente, non ricordo NIENTE. Non so nemmeno chi sono. Chi sono? Non lo so. In questo momento sono solo un uomo che cammina. Sono un uomo? Esisto? Magari sono solo capitato nell’incubo di qualcuno che non sa svegliarsi.
Svegliati, maledetto, svegliati!!! Almeno cesserò di soffrire e porrò fine a questa mia angosciosa esistenza. Cammino, cammino, cammino. Nel cunicolo rimbomba un suono niente affatto rassicurante. Una specie di ghigno animalesco. Un brivido mi corre lungo la schiena. Adesso corro, corro, corro. Finisco il fiato, non sono un buon corridore, ma non mi fermo nemmeno un attimo. Non ci penso nemmeno. Non rientra nelle mie opzioni. Non mi accorgo che il soffitto si fa più basso, e sbatto la testa, forte, talmente forte che svengo.

Non so quanto tempo sia passato. Magari ore. Magari giorni. Inizio a temere che non sia il sogno di qualcun altro. Allora cos’è? Come sono finito qui? Perchè non mi ricordo? Non avere un passato è terrificante, anche se a molti potrebbe sembrare un miracolo. Senza un passato non si può ripartire da zero. Non c’è niente da azzerare. Credo sia per questo che le persone non ricordano nulla di quando sono nate. Non c’è niente da ricordare. Solo vuoto. E adesso io sono come un neonato, ma senza madre, senza padre, senza casa, senza niente. Un neonato senza futuro. Che cosa terribile.
Il filo dei miei pensieri viene interrotto da qualcosa che mi capita sotto i piedi. Inciampo. Potrebbe essere una pantegana morta, una di quelle grosse quanto un cane. Puzza da far schifo. Forse è questo l’odore che sentivo, magari veniva da qui. Un rantolo si innalza dal pavimento. Trasalisco. No, non è una pantegana. Ma di sicuro, è in stato di decomposizione. Cristo, sotto i miei piedi c’è un morto!!! Ma magari sono solo io. Magari me lo sono immaginato. Magari sto solo diventando pazzo. Resto in silenzio. Trattengo il respiro. No, non c’è alcun rumore. Probabilmente è davvero una pantegana morta. Alzo un piede e la supero. Poi l’altro. Urlo, urlo con tutto il fiato che ho in gola. O almeno così mi sembra, ma mi rendo conto che dalle mie labbra non è uscito un solo suono. Mi ha preso. Non è una pantegana. Non è una pantegana!!! E’ un essere umano e mi ha preso la gamba con le sue fredde, morte mani. Tento di divincolarmi, scalcio, ma è tutto inutile. E’ un morto con una forza disumana. Mi trascina verso il pavimento, mi volto a fissarlo e vedo lo sbrilluccichio dei suoi occhi rosso vermiglio nel buio. All’improvviso si apre una voragine e iniziamo a precipitare giù, giù, in fondo. Il cadavere mi si avvinghia, mi stritola. “Pagherai per ciò che hai fatto” mi sussurra all’orecchio. Ha una voce tremenda, e un alito mefitico, gelido di morte. “Lasciami andare!” provo a dire, ma non appena ci provo, mi morde un orecchio. Urlo dal dolore quando me lo stacca. Potrei svenire. Mentre precipitiamo si vede una luce sul fondo di questo pozzo di terrore. Magari c’è speranza, magari mi sveglio, perché sono tornato all’ipotesi che questo sia solo un incubo. Ma nei sogni le sensazioni non sono mai così vive. Inizio a distinguere le caratteristiche del mostro avvinghiato a me. Mi sta letteralmente mangiando vivo. Mentre io cerco di distinguerlo mi strappa i capelli dalla cute e poi li sputa, ma tira talmente forte che viene via anche la pelle. Mi scuoia con i suoi denti affilati. Sembra una donna. Ha metà della faccia mangiata dai vermi, l’altra metà è ancora vagamente riconoscibile. La pelle è diventata più o meno verde. I capelli lunghi non sono ancora caduti. Mancano delle ciocche solo dal lato dei vermi. Le manca un occhio. Cioè, è lì, ma ciondola fuori dall’orbita. Urlo, piango, mi divincolo. La luce che vedevo in fondo al tunnel, non è la via verso la vita. E’ l’Inferno. Le fiamme sono altissime, e sento che mi bruciano fin dentro le ossa. Il cadavere mi ha mangiato metà della faccia. Affonda i suoi denti nel mio cervello e allora ricordo: quella era la mia donna. E poi diventò di un altro perché io non ero stato abbastanza bravo da tenermela. E allora io l’avevo uccisa. E poi non ricordavo più. Mi ero trovato in quel cunicolo e basta. Probabilmente merito quello che mi sta succedendo, ma ho paura. Sono terrorizzato. “Ti prego, ti prego, perdonami! Abbi pietà!” cerco di articolare in maniera scomposta. “Dio perdona. Ma qui non c’è Dio. Qui non c’è pietà. Qui c’è solo il Male.” E mentre mi uccide togliendomi ogni speranza inizia a mangiarmi le interiora, inizia a mangiarmi il cuore. Dovrei essere morto ormai, ma continuo a precipitare. Continuo a urlare. A bruciare. E vivo, mi rendo conto che annegherò per sempre in quel fuoco di terrore.

 

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