Le malerbe

“Le malerbe”: il dolore mai sanato delle comfort women

Nel romanzo grafico Le malerbe (BAO Publishing, 2019), la fumettista coreana Keum Suk Gendry-Kim ricostruisce, attraverso la testimonianza della ormai anziana Yi Okseon, una delle pagine più oscure della seconda guerra mondiale: la pratica delle comfort women, ragazzine di bassa estrazione sociale vendute o portate via a forza dai territori colonizzati dall’Impero giapponese e costrette a prostituirsi e subire quotidianamente violenze da parte dei soldati. L’utilizzo del termine stesso, un eufemismo che non rende affatto l’idea degli abusi perpetrati sistematicamente su queste donne, è ancora al centro di una controversia tra il Giappone e la Corea del Sud, i cui rapporti a proposito delle responsabilità nel corso del conflitto restano tuttora tesi.

Per la stesura de Le malerbe, Keum Suk Gendry-Kim si è recata più volte in una struttura specializzata nella città coreana di Gwangju, la quale, oltre a ospitare le anziane comfort women, è sede di un museo storico. La testimonianza di “nonna” Yi Okseon è stata raccolta a poco a poco, dopo un periodo di iniziale diffidenza, e organizzata dall’autrice in ordine cronologico, utilizzando la struttura lineare del reportage giornalistico. Il racconto si apre infatti con l’infanzia della protagonista, che cresce in una famiglia povera nella Corea rurale degli anni Trenta. Yi Okseon vorrebbe andare a scuola, conoscere il mondo, ma la possibilità di ricevere un’istruzione le viene preclusa dalla sua condizione sociale.

Il primo inserto storico dell’autrice è quello sul massacro di Nanchino: nell’inverno del 1937, mentre Yi Okseon, ignara di ciò che avveniva nei paesi circostanti, veniva punita dalla madre per avere rubato dei cachi, le milizie giapponesi occuparono la città di Nanchino e diedero luogo al massacro di più di trecentomila persone, la cui inaudita brutalità non risparmiò alcun civile presente in città. Proprio in seguito a questo avvenimento, il governo giapponese incentivò l’utilizzo delle cosiddette comfort stations, centri di prostituzione in cui i soldati potessero dare sfogo ai propri istinti a scapito di donne e ragazzine appartenenti a minoranze etniche e territori colonizzati, cosicché la reputazione dell’esercito non fosse danneggiata ulteriormente da altri episodi di violenza incontrollata sui civili.

Con la scusa di essere data in adozione, Yi Okseon viene venduta all’età di quindici anni a una famiglia più abbiente per fare la serva e, un anno dopo, deportata insieme ad altre quattro ragazzine nella città di Yanji, nel territorio cinese occupato dall’esercito giapponese, per diventare una comfort woman. La storia individuale di Yi Okseon dà voce alle migliaia di esperienze simili alla sua, di donne vittime di un crimine di guerra normalizzato, anzi incoraggiato, dalle stesse gerarchie militari. A tal proposito, analizzando il problema della trasposizione grafica delle esperienze di abusi di varia natura, merita una precisazione lo stile con cui questo romanzo grafico è illustrato. Le malerbe, infatti, presenta tavole disegnate in inchiostro nero, con tratti geometrici e taglienti. L’autrice sceglie espressamente di annerire determinate vignette per rispettare i traumi più forti di Yi Okseon. Come ella stessa dichiara nella postfazione:

La mia condizione era come nel fumetto, non volevo accentuare né il dolore che la protagonista doveva sopportare né le sue ferite. Non volevo inserire né espressioni per enfatizzare interessi superficiali né commenti o contenuti provocatori.

La volontà di Keum Suk Gendry-Kim di non lasciarsi andare a facili istanze moralizzanti ne Le malerbe si accompagna, tuttavia, a un taglio di denuncia sociale particolarmente pronunciato. L’autrice si concentra infatti, specie all’inizio, sulla portata della disparità tra classi sociali nella perpetrazione di questo crimine di guerra. Le ragazzine deportate al fine di diventare comfort women, come Yi Okseon, provenivano infatti in gran parte da famiglie poverissime e venivano spesso raggirate con la promessa di ricevere un’istruzione scolastica e una vita migliore. Allo stesso modo l’autrice sottolinea come il colonialismo giapponese abbia svolto, negli anni della seconda guerra mondiale, un ruolo totalitario, soggiogando la popolazione coreana e cinese non solo dal punto di vista politico, ma anche culturale.

Il Giappone, per indebolire lo spirito e le tradizioni dei coreani attraverso il proprio sistema di dominio coloniale, impose la costruzione di templi. Nel 1940 fu imposto alle persone di cambiare il proprio nome e cognome con nomi giapponesi. Coloro che si rifiutavano di farlo non avevano accesso a prodotti o cibo e venivano subito selezionati per i lavori forzati. […] Sotto l’effigie della Federazione Coreana per l’Alleanza Nazionale, la propaganda scatenata dallo spirito imperialista giapponese si diffuse ampiamente per le strade.

La storia di Yi Okseon non termina con la fine della guerra. Le malerbe segue infatti la vita della donna anche dopo la liberazione e i soprusi della comfort station. Alle tribolazioni non segue infatti un lieto fine: in un’Asia ancora squassata dal conflitto, e con i traumi che ella si porta dietro, insieme ad altre migliaia di donne, Yi vive per cinquant’anni un matrimonio infelice e ritorna in Corea solo nel 1997 in occasione di un programma televisivo incentrato sulle famiglie ritrovate. Anche la riconciliazione con le sue sorelle, però, non va a buon fine, a causa dei risentimenti che ancora provano nei suoi confronti. Yi Okseon è una donna profondamente traumatizzata, che non si è mai sentita felice sin dal momento in cui è nata, ma ciò non riassume appieno la sua personalità: nel corso de Le malerbe trovano spazio piccoli sprazzi di ironia e una grande capacità di resilienza.

In coda alla graphic novel trovano spazio, oltre a un’ampia bibliografia, due interventi che forniscono diverse interpretazioni critiche dello stesso materiale di riferimento. La nota dell’autrice fa leva sulla possibilità di un riscatto, sulla speranza di un domani migliore grazie alla testimonianza di donne come Yi Okseon, mentre il breve saggio del professore Yoon Myeong Sook si incentra sul contesto socio-politico che ha portato alla pratica delle comfort women e sulla richiesta di giustizia per una pratica le cui radici affondano nella società coreana – e in genere, nella società – e di cui ancora oggi non si parla nei giusti termini.


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