Da sempre, la Sicilia ci ha regalato artisti in ogni campo, che hanno dato un contributo inestimabile all’arte italiana: Antonello da Messina, Pirandello, Camilleri, i Marta sui Tubi. Tanti piccoli gioielli, alcuni più conosciuti di altri ma tutti uniti da un’unica, meravigliosa, terra. A questo tesoro si aggiungono i La Stanza Della Nonna, band messinese che si muove tra folk, psichedelia ed elettronica. Abbiamo parlato con loro di nonne, felicità e dialetti.
L’intervista
Come spiegate voi stessi, la “stanza della nonna” per voi è una sorta di vaso di Pandora, un qualcosa di misterioso ma irresistibile, che sorprende ma accoglie: che legame avete (o avete avuto), invece, con le vostre nonne?
Siamo tutti cresciuti con i nonni, noi de La Stanza Della Nonna. Chi l’aveva in casa, chi al piano di sotto, chi la palazzina accanto. I nonni ci hanno cresciuti e il rapporto con loro è stato sempre scandito da racconti del passato e odori incredibili che dal naso andavano direttamente al nostro cuore. Anche nei primi anni, quando provavamo in casa della nonna di due componenti della band, le nostre prove erano inebriate dall’odore del caffè, o delle cene (a cui spesso partecipavamo). Mentre provavamo facevamo a gara per capire cosa stava cucinando la nonna!
Avete parlato di amore “ai tempi del caos”. Cosa direste invece dell’amore ai tempi del Coronavirus? Viene davvero da chiedersi “Chissà se ci saranno poeti poveri a raccontare degli amanti come noi, in un mondo senza più eroi”.
La speranza è questa. La speranza che ci sarà ancora qualcuno che voglia lottare per trasmettere un messaggio, nonostante nelle tasche ci sia solo qualche spiccio. Che la musica e l’arte non vengano viste solo come un prodotto da vendere.
In Il giorno del mio funerale parlate di indifferenza e inettitudine. Quanto pensate possa essere dannoso questo atteggiamento?
Dannosissimo. Ci ha portati proprio a questo mondo. Ad essere poco empatici verso il prossimo e insensibili davanti ai malesseri del nostro vicino. L’indifferenza crea distanze e solitudine.
Nel vostro secondo disco, Dove gli occhi non possono arrivare, vi interrogate sul significato della felicità. Provate a descrivere, in una sola parola, che cos’è per voi.
Libertà è felicità.
Torri, cattedrali, strade e cimiteri sembra prendere ispirazione dalla novella La roba di Verga, poiché parla di come il materialismo non possa portare alla vera felicità. C’è qualche letterato siciliano che vi ha ispirato nella scrittura dei vostri testi?
Verga, come tantissimi altri scrittori siciliani, sicuramente li portiamo dentro. Ogni tanto riaffiora qualche storia ma mai ci siamo ispirati direttamente ad uno di loro. Uno scrittore siciliano dei nostri tempi che sicuramente ci ha influenzati è Franco Battiato.
Il video di Anima d’idrogeno sembra molto particolare tra animazioni bidimensionali, effetti un po’ retrò e animali marini: come avete deciso di realizzarlo in questo modo?
Quasi per gioco! Le prime prove grafiche del nuovo disco avevano come protagonisti dei pesci, che rappresentavano ogni componente del gruppo. Parlando con Vincio Siracusano (che oltre ad essere un bravissimo percussionista, è anche un artista digitale), abbiamo avuto l’idea di animarli. Per il primo singolo non volevamo comparire in versione umana!
In Mendico parlate del contrasto tra la fantasia del protagonista, la sua voglia di vivere, e la società fredda che lo circonda: pensate che esista ancora questa capacità di opporsi agli altri o che sia inevitabile adattarsi al “pensiero unico”?
Deve esistere ed esisterà sempre qualcuno che non vuole omologarsi. Questo permetterà a tutte le forme d’arte l’immortalità!
Farete in futuro altre canzoni in dialetto come O papà o Isabella? Pensate che l’utilizzo del dialetto sia un pregio o che tolga qualcosa al significato di una canzone?
Probabilmente un pregio, perché i dialetti riescono ad esprimere emozioni che alcune volte non hanno traduzione in lingua italiana. La cosa che ci piace molto è che anche chi non è siciliano, apprezza tantissimo questi brani e anzi vuole saperne di più per capire a fondo il testo. Alcune volte è come una lente d’ingrandimento. Ci piace molto scrivere in dialetto e continueremo a farlo.
Ci sono delle canzoni (siciliane e non) popolari a cui siete particolarmente legati?
A noi piacciono le macchine del tempo e la musica popolare lo è. Spesso ti aiutano a capire il presente in cui viviamo. Ehi cumpari è una canzone molto divertente, scritta in America da Julius La Rosa.
I rapporti tra il nord e il sud al momento non sono dei migliori, soprattutto a causa della delicata situazione in cui ci troviamo. Pensate che la musica possa essere un modo per riavvicinare le due realtà?
La musica e l’arte in generale e di conseguenza gli artisti, sono tra i pochi che (nella maggior parte delle volte) lottano per distruggere questa divisione. Probabilmente chi è inetto e ha radicato il razzismo nel sangue difficilmente può essere “spostato” dalla musica. Da noi si dice: “cu nasci tunnu non po’ moriri quatratu”, che significa: “chi nasce rotondo non può morire quadrato“. Speriamo che i politici inizino a dare il buon esempio e la finiscano di spargere odio.
L’ultima risposta è probabilmente il messaggio più forte e importante che questi ragazzi possano trasmettere con la loro arte. Restano però fondamentali i temi dei loro pezzi, come il significato più profondo della felicità e di come essa sia concepita oggigiorno. Proprio come afferma il titolo del loro disco più recente, i La Stanza Della Nonna riescono a vedere là “dove gli occhi non possono arrivare“: un luogo misterioso, che non sempre si riesce a raggiungere, ma dove sicuramente si può assaporare quella che pochi possono definire vera felicità.
Materiale gentilmente fornito da Conza
Copertina e immagine gentilmente fornite da Conza