Cambiare ora che ne abbiamo la possibilità. Questo dovrebbe essere un pensiero fisso nei politici di tutto il globo. Ma sembra che, come molti si aspettavano, il mondo post-Covid non sarà molto diverso da quello che ha preceduto questa crisi senza paragoni: solo che non avremo imparato niente.
Al di là di ogni più catastrofica previsione formulata dai più avveduti o pessimisti, vedi Bill Gates, nessuno realisticamente era preparato per una crisi umanitaria, sanitaria e, di conseguenza, anche economica come questa. Il Covid sta progressivamente scoperchiando i problemi più o meno evidenti degli Stati del mondo: chi non ha un servizio sanitario pubblico, chi sputa sulla libertà di stampa e d’informazione e chi non ha ancora compreso che l’unione è vera solo quando effettivamente messa in campo. Per tanti esempi positivi che abbiamo visto in queste terribili giornate, sono evidenti le mancanze e le responsabilità di sistemi economici e sociali spinti al loro limite. Ma appare anche evidente che proprio questo blocco imposto può trasformarsi in una opportunità.
Non è possibile intervenire per cambiare il passato, occorre solo indagare per accertare eventuali responsabilità e cercare di donare sollievo a chi ha perso un caro, un amico, un conoscente. Questo è compito tanto dei giudici, dello Stato, quanto degli psicologi e di ognuno di noi, membri di comunità ferite. Ma lo Stato ha anche l’opportunità per intervenire su ciò che ci aspetta, il futuro, qualcosa su cui possiamo avere una voce, e cercare di dirigerlo verso una certa direzione, migliore di quella a partire dalla quale ci siamo schiantati.
Due sono le grandi riflessioni che i governanti di tutto il mondo sono tenuti a fare: quanto sfruttamento incontrollato dell’ambiente possiamo ancora concederci? Quanti evasori possiamo tollerare? Sono quesiti basilari, apartitici, ma certo non apolitici. Se politica significa arte del governo, allora immaginare e indirizzare il futuro è il compito basilare di questo nobile e gravoso impegno.
Questo però è tanto lontano dalla realtà dei fatti quanto il mondo ipotizzato da Tommaso Moro nella sua famosa opera, Utopia. Nel Regno Unito e negli Stati Uniti, ad esempio, ingenti aiuti economici sono stati erogati alle imprese petrolifere, come la Bp o la Shell, o alle compagnie aeree. Invece di pensare a politiche utili per ridurre l’utilizzo di carburanti fossili, delle quali gli impegni internazionali, sulla carta, sono pieni, non c’è alcun tentativo di intervenire per ripensare la mobilità o la produzione. Forse, per quel famoso Green New Deal di cui da qualche tempo si sente parlare, serviranno scelte coraggiose e non solamente sprazzi di incentivi economici: investire sull’efficienza energetica delle abitazioni e non nel continuo sperpero di energie, favorire percorsi di riqualificazione professionale per i lavoratori, utilizzare al meglio i servizi digitali cui ci siamo aggrappati con forza in questi lunghi mesi di quarantena. Stiamo mettendo una pezza, a volte nemmeno efficace, ignorando che alcuni problemi si ripresenteranno uguali, ancora e ancora.
Forse è giunto il tempo di ripensare la vita che vorremmo fare dopo essere emersi dalle nostre case, esserci salutati, abbracciati, aver pianto assieme. Pensare semplicemente di aver schivato il proiettile non è abbastanza, non serve essere in piedi se accettiamo di ricommettere ancora gli stessi errori. Possiamo fare qualcosa, una possibilità che mai verrà tolta all’uomo. Possiamo imparare, possiamo migliorare, dobbiamo provarci.