Futurismo e Fascismo: come interagirono arte e regime?

“Nell’arte come nella vita, bisogna saper ‘MARCIARE per non MARCIRE’!” 

La produzione artistica, in quanto portatrice di certi valori culturali e sociali, può essere un efficace strumento di mobilitazione della precipitazione politica. Sia nella buona che nella cattiva sorte. Così, i regimi che si sono imposti nella prima metà del Novecento furono molto accorti nello sfruttare la carica comunicativa insita nell’arte, anche se per intenti non lodevoli. E lo fecero attraverso i nuovi strumenti e media artistici, come fotografia e cinema. Ricordiamo così i cinegiornali fascisti, oppure gli enormi finanziamenti conferiti all’industria cinematografica tedesca dal ministro della propaganda nazista, Goebbels.

Hitler e Goebbels fotografati mentre guardano un film alla sede dell’Ufa, 1935

Oltre allo sfruttamento dei nuovi strumenti comunicativi, però, la propaganda dei regimi si servì degli strumenti dell’arte. Operò, quindi, anche intercettando e incanalando politicamente le nuove correnti artistiche che si stavano affermando all’epoca. Sotto questo profilo, dunque, è interessante soffermarsi sui rapporti che, nel periodo compreso tra le due guerre mondiali, si instaurarono e intercorsero tra fascismo e futurismo. 

L’ideale futurista come culla del Fascismo

Mino Somenzi, giornalista aderente al movimento del futurismo, scrisse che: “il futurismo è patrimonio spirituale del Fascismo!”. E il filosofo Benedetto Croce, a sua volta, avrebbe affermato che: “per chiunque abbia il senso delle connessioni storiche, l’origine ideale del fascismo si ritrova nel futurismo”. Cosa intendevano dire, però, quando affermavano che “l’origine ideale del fascismo” o il “patrimonio spirituale del fascismo” fossero da ricercare nel futurismo?

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Alfredo Gauro Ambrosi
Aeroritratto di Mussolini aviatore, 1930

Con quelle asserzioni entrambi volevano porre l’attenzione sul clima culturale che, tra gli anni ’10 e ’20 del ‘900, stava avanzando in Italia. Quello che contribuì a costruire i pilastri culturali e ideologici di un sentire comune caratterizzato da una forte tendenza di rottura rispetto al passato. Ecco allora il principale punto di contatto che avvicina futurismo e fascismo: la frattura con il passato.

Tra dinamismo e interventismo

L’irrefrenabile smania, tanto artistica quanto politica, del guardare avanti appartiene alla dittatura mussoliniana. Ricordiamoci infatti come Mussolini fosse stato direttore, curiosa coincidenza, del quotidiano socialista «Avanti!». Affiora così l’idea di sostenere il progresso sociale, il dinamismo, di celebrare la velocità e soprattutto di presentarsi come il punto di riferimento per la nascente società di massa.

Tutti questi aspetti furono senza dubbio alcuni dei punti cardine su cui si generarono le fondamenta di uno spirito movimentista. Ampiamente sfruttato da Mussolini nella sua ascesa politica e forgiato dal contributo del movimento futurista. E di questo era ben cosciente Filippo Tommaso Marinetti che, a posteriori, avrebbe scritto: “il Futurismo era al­lora l’anima stessa dell’Italia interven­tista e rivoluzionaria.” 

L’arte e la politica si intessono nel Futurismo

Il futurismo, dunque, nacque non soltanto come movimento artistico, ma anche politico. Tale carica e la mobilitazione insite nello spirito futurista sono sempre state al centro dei lavori di Marinetti, Boccioni, Severini, Balla, Prampolini ecc. La loro arte si espleta così nella trattazione pittorica della velocità, del dinamismo, della macchina, delle folle, della guerra. Insomma di tutto ciò che rappresentava la cifra costitutiva della modernità.

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“Ritratto sintetico di Mussolini”, dalla rivista: Il lampo Futurista

In questo modo i futuristi divennero l’espressione di una temperie culturale e sociale che andava via via delineandosi in tutta Europa e che venne abilmente, quanto tragicamente, intercettata dai nazionalismi. A ben vedere infatti, la peculiarità dei regimi impostisi in Europa tra gli anni ’20 e ’30 fu proprio quella di posizionarsi sul confine tra tradizione e modernità. Il loro scopo era infatti mobilitare i sentimenti nazional-patriottici attraverso gli strumenti, anche artistici, offerti dalla modernità. 

Esemplari, da questo punto di vista, sono le parole di Marinetti, pubblicate nel 1933 sulla rivista «Lampo» futurista:

Essenziale [è] la passione per l’Italia e per il nuovo. Il Futurismo, movimento ideologico, artistico, letterario, scientifico, interviene nella politica soltanto quando la patria pericola. I futuristi, uniti da questa vigilanza e pronti a tutto, appoggiano ciò che è originale, eccentrico e colorano la città col loro temperamento italiano acceso.

Un allineamento spezzato e la nascita del Novecento

Questo venne scritto tra il 1932 e il 1933, nel contesto di un’Italia già profondamente fascista e che aveva appena celebrato il decennale della marcia su Roma (1922-1932). In realtà, però, sappiamo anche che i rapporti tra fascismo e futurismo non furono sempre idilliaci o che, perlomeno, non sempre i due movimenti furono perfettamente allineati sotto il profilo politico. 

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Mario Sironi, Il lavoro fascista, 1936-37, mosaico, Palazzo dell’Informazione, piazza Cavour, Milano

Quando infatti il Fascismo passò dalla fase rivoluzionaria alle fila del governo e nel Parlamento, è evidente che fosse necessario far raffreddare i bollori dirompenti del futurismo. Sia per attecchire il regime, che per inquadrare il movimento fascista in un sistema. Il futurismo si connotava quindi come vessillo di un periodo precedente, che contrastava con la fase fascista di  rappel a l’ordre, ovvero di richiamo all’ordine. Questo avrebbe permesso di recuperare i valori classicisti della tradizione italiana, di cui però i futuristi, con il loro spirito rivoluzionario, erano sempre stati i de costruttori. 

Ed è proprio all’inizio degli anni ’20 che Margherita G. Sarfatti, grande storica dell’arte e amante di Mussolini, promosse a Milano la nascita di Novecento, un gruppo di artisti accomunati dal ritorno alla figuratività plastica. Tra di loro spicca Mario Sironi, pittore relativamente autonomo rispetto al gruppo, ma che risulta particolarmente significativo, soprattutto per la sua adesione ad una nuova estetica “romanizzante” che il fascismo voleva inaugurare. 

La mostra della rivoluzione fascista 

Ad ogni modo, consapevoli della portata innovatrice dell’arte futurista, non passò molto tempo che il fascismo si riavvicinò ai suoi vecchi promotori artistici. Nell’ottica, in particolare, di far aderire il linguaggio futurista alle esigenze propagandistiche del Partito Fascista e di rendere il Futurismo l’unica arte innovatrice accolta dal regime. Non a caso Mussolini avrebbe poi nominato Marinetti Accademico d’Italia, parlando di lui come il “poeta innovatore che ha dato la sensazione dell’oceano e della macchina.”

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Manifesto della “Mostra della Rivoluzione fascista”

La riconciliazione tra fascismo e futurismo comportò come conseguenza il recupero da parte del regime di un’estetica futurista. E questa rivestì una cruciale importanza nelle attività propagandistiche e commemorative. In questo senso, come scrisse Marinetti nel ’33, il trionfo dell’arte futurista è evidente in tutta la ‘Mostra della Rivoluzione Fascista’.” Nel 1932, infatti,  il Partito Fascista allestì la celebre “Mostra della Rivoluzione Fascista”, organizzata in occasione della ricorrenza per i dieci anni dalla Marcia su Roma (1922-1932). 

Pianta dell’esposizione, le frecce rosse indicano il percorso espositivo

Com’era strutturata l’esposizione?

Realizzata all’interno del Palazzo delle Belle Arti di Roma, sotto il profilo contenutistico, la mostra proponeva un percorso tematico che ricostruiva un’ideale Storia d’Italia dal punto di vista fascista. Dal 1914, anno dello scoppio europeo della Grande Guerra, passando attraverso l’istituzione dei fasci di combattimento, la resa austriaca a Vittorio Veneto e l’impresa di Fiume. Fino a incorporare la figura di Mussolini, fino al 1922, anno della Marcia su Roma, con conseguente ascesa al potere del Partito Fascista.

L’esposizione, poi, si articolava in 19 sale circa, ciascuna denominata con le lettere dell’alfabeto, e si sviluppava su due piani fino ad arrivare alla sala finale, costituta dal “sacrario dei martiri”. Questa era una stanza carica di sacralità e destinata alla commemorazione dei cosiddetti “martiri del fascismo”, ovvero coloro che avevano perso la vita per “difendere la patria” o per sostenere la “causa fascista”. Vi rientravano, ad esempio, interventisti morti durante il primo conflitto mondiale, irredentisti che avevano battagliato per Trento e Trieste, anti-bolscevichi uccisi ecc.. 

Facciata della mostra progettata dagli arch. De Renzi e Libera

La monumentalità dinamica del Futurismo

Dal punto di vista del contenuto, dunque, gli obiettivi erano: celebrare il fascismo e ricostruire una sorta di storia d’Italia fascista, al fine di produrre un effetto di identificazione tra patria e fascismo. Quasi a voler suggerire che, con l’avvento del fascismo,  fosse nata una nuova nazione che avrebbe dato origine al concetto di “nuovo italiano”

L’aspetto ancora più interessante, però, riguarda l’estetica adottata dal Partito per allestire l’esposizione. Un tracciato tipicamente futurista, caratterizzato, dunque, da effetti pittorici carichi di dinamismo, velocità e movimento. Ma al contempo anche una sorta di monumentalità dinamica di carattere profondamente moderno. Questa si configurava come l’escamotage artistico ideale per rafforzare quel sentimento di rivoluzione che il Fascismo voleva rievocare e in qualche modo tenere tiepidamente acceso per mobilitare le masse. 

Scalone d’onore (a sx) e scalinate (a dx) con decorazioni parietali realizzate da Mario Sironi

Una sostanziale rivoluzione espositiva

Ma ciò che rende la mostra significativa dal punto di vista estetico-espositivo consiste in un cambiamento sostanziale. A differenza della mostra precedente dedicata al mito di Garibaldi nella quale, come scrive Margherita G. Sarfatti, “il visitatore più entusiasta si allontanava confuso e stanco da quei chilometri di documenti”, questa mostra era stata realizzata attraverso la costante sinergia tra storici, architetti e artisti.  Tra questi citiamo, ad esempio, Adalberto Libera (uno dei massimi esponenti del razionalismo), Mario de Renzi, ma anche lo scultore Adolfo Wildt e i pittori Enrico Prampolini e Mario Sironi, autore di alcune delle sale più importanti. Quest’ultimo, come riporta la Sarfatti, conferì alla mostra “la sua anima austera, religiosa e tragica”. 

Dettaglio della “Sala O” (dedicata all’anno 1922) rappresentazione simbolica del “pensiero-azione” di Mussolini

In questo modo, lungi dal produrre un effetto di “confusione e stanchezza”, la mostra si palesava come un’esperienza paradossalmente stimolante, dinamica, incalzante, che produceva nel visitatore un effetto di mobilitazione e partecipazione emotiva molto forte. Il merito di questo effetto stava tutto nell’abilità di coniugare gli elementi storici e aneddotici (che rappresentavano il contenuto della mostra) con gli elementi plastici, estetici e pittorici. 

Questa abilità fu scorta sempre da Margherita G. Sarfatti che, seppur di parte, avrebbe scritto:

La Mostra della Rivoluzione fascista è dunque, non solo come cornice, ma nella sua essenza, opera d’arte e opera di architettura. Fu ideata, vagliata, eseguita e composta da artisti. […] Non è [solo] una raccolta di materiale storico, ma storia in atto, attraverso la trasformazione mitica e pur verace in simbolo e allegoria.


FONTI

Margherita G. Sarfatti, Architettura, arte e simbolo alla mostra della Rivoluzione Fascista 

Manifesti e articoli futuristi da Fondazione Memofonte 

Associazione Nazionale Partigiani d’Italia – Sezione “Emilio Diligenti” di Lissone

Storia XX Secolo

CREDITS

Copertina

Fotografia Hitler e Goebbels 

Alfredo Gauro Ambrosi – “Aeroritratto di Mussolini aviatore”

Ritratto sintetico di Mussolini in Lampo futurista (Reggio Emilia – n° del Febbraio 1933) da Fondazione Memofonte

Mario Sironi, mosaico Il lavoro fascista

Manifesto “Mostra Rivoluzione fascista”

Pianta della mostra da M.G. Sarfatti  – Architettura, arte e simbolo alla mostra della Rivoluzione Fascista 

Facciata da M.G. Sarfatti  – Architettura, arte e simbolo alla mostra della Rivoluzione Fascista 

Fotografia scalinate da M.G. Sarfatti  – Architettura, arte e simbolo alla mostra della Rivoluzione Fascista 

“Dettaglio sala ‘O'” da M.G. Sarfatti  – Architettura, arte e simbolo alla mostra della Rivoluzione Fascista 

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