Spazzolino da denti, lenti a contatto, carte di credito, dispositivi medici, smartphone, automobili: che cos’hanno in comune questi oggetti? Sono tutti, chi più chi meno, composti da plastica. Nel dibattito ambientale moderno, la plastica viene spesso trattata come il principale nemico della sostenibilità. Ma è davvero così semplice? Siamo a conoscenza di cosa vogliano dire: riciclare, economia circolare e biodegradabilità? Sappiamo cosa potrebbe voler dire realmente una vita senza plastica? In realtà, dietro la demonizzazione della plastica si nasconde una questione più profonda: non è il materiale in sé, ma il comportamento umano e la gestione dei rifiuti a fare la differenza.
Un po’ di storia
Il Novecento è da ricordare come il secolo della plastica; è infatti in questi anni, soprattutto a partire dal secondo dopoguerra, che la plastica esplode su scala globale grazie alla sua versatilità, leggerezza e basso costo di produzione. Materiali come il polietilene, il PVC, il PET si diffondono in ogni settore, rivoluzionando packaging, edilizia, medicina e trasporti. Chissà se i pionieri di questo materiale si erano immaginati che una delle innovazioni industriali più incredibili della storia sarebbe, nel tempo, diventata una sfida ambientale senza precedenti.
Riciclare, biodegradabilità ed economia circolare
Eppure così è stato, un fuoco flebile che piano piano è diventato un incendio indomabile: un dibattito su scala mondiale, come se il problema fosse ridotto ad una gara a squadre. Da un lato troviamo i sostenitori della plastica, dall’altro i negazionisti. Inutile dire che in mezzo ci troviamo speculazioni e strumentalizzazioni di ogni tipo. TV, giornali, internet. Siamo sommersi dalle informazioni e dalla terminologia più o meno tecnica, dalla quale ci lasciamo riempire facilmente la bocca. Sposiamo proteste, propagande, ma effettivamente sappiamo di cosa stiamo parlando? Sappiamo contro chi o cosa stiamo combattendo e protestando?
Riciclare significa recuperare materiali dai rifiuti per trasformarli in nuovi prodotti riducendo così l’uso di risorse vergini e la produzione di rifiuti.
La biodegradabilità indica invece la capacità di un materiale di decomporsi naturalmente in sostanze innocue grazie all’azione di microorganismi, senza lasciare residui tossici.
L’economia circolare è invece un modello economico che mira a mantenere il valore dei materiali e delle risorse il più a lungo possibile, riducendo gli sprechi attraverso riutilizzo, riparazione, riciclo e progettazione sostenibile.
La plastica è riciclabile all’infinito?
Anche questo è un argomento su cui si è speculato molto. Ancora oggi, navigando sul web è difficile capire quale sia la realtà dei fatti. Oltre agli interessi personali ed economici, una delle difficoltà sta nel monitorare il tempo di riciclo dei materiali: è difficile quantificare l’infinito rispetto alla vita degli uomini e rispetto all’esperienza reale che abbiamo sul riciclo della plastica. Possiamo riassumere la questione in due grandi teorie.
Esistono diversi tipi di platica e una teoria affermerebbe che: le termoplastiche – come PET, HDPE e PP – sono materiali che possono essere rifusi e rimodellati più volte, rendendole riciclabili. Tuttavia, non sono riciclabili all’infinito. Ad ogni ciclo di riciclo, le catene polimeriche si accorciano, il materiale si degrada e può perdere parte delle sue proprietà meccaniche e chimiche. Dopo alcuni cicli (in genere 3–5), è spesso necessario aggiungere plastica vergine o destinare il materiale a usi meno esigenti.
Secondo un’altra teoria invece, grazie alla combo di tecnologie di riciclo chimico o depolimerizzazione e meccanico, è possibile riportare il materiale ai suoi monomeri originari, rigenerandolo completamente. Tuttavia, questi processi sono ancora poco diffusi, costosi e energivori. Il riciclo meccanico, molto più comune, ha invece limiti fisici ben definiti.
A complicare la questione c’è poi la normativa italiana, la quale elargisce incentivi e contributi alle aziende che si occupano del riciclo della plastica, ma gli elargisce solo a quelle aziende che riciclano le plastiche derivate da imballaggi: questo vuol dire che non vi è una selezione basata sulla composizione o tipologia del materiale ma sulla sua destinazione d’uso.
Plastica vs. vetro: uno scontro non scontato
Un materiale che per alcuni utilizzi sembrava caduto in disuso, negli ultimi anni sta tornando prepotentemente sulla scena: il vetro. Molti credono che il vetro sia sempre più ecologico, alcuni addirittura che sia biodegradabile. Tuttavia, mentre il vetro è inerte (cioè non rilascia sostanze chimiche nell’ambiente) e riciclabile all’infinito, il suo impatto energetico per la produzione e il trasporto è molto alto. La plastica, più leggera, riduce le emissioni nei trasporti e può essere riciclata (anche se non all’infinito). La scelta del materiale migliore dipende quindi dall’uso che se ne fa (pensiamo banalmente ai materiali usa e getta per le medicazioni) e da come viene gestito a fine vita.
Effetti tossici: plastica e ambiente
La plastica può diventare tossica a causa degli additivi chimici utilizzati in fase di produzione (come ftalati e bisfenolo A) o attraverso la sua frammentazione in microplastiche. Queste ultime, inferiori a 5 mm, possono essere ingerite da animali marini, entrando nella catena alimentare fino all’uomo (biomagnificazione). Il vetro, pur potendo contenere residui di produzione, è generalmente considerato chimicamente inerte e meno soggetto a rilascio di sostanze nocive.
Il problema vero: smaltimento e cultura del consumo
La vera “colpa della plastica” sta nel modo in cui viene usata, smaltita e abbandonata. L’intensivo utilizzo del monouso, la mancanza di infrastrutture adeguate per il riciclo e una cultura poco responsabile hanno trasformato un materiale utile ed innovativo in una minaccia ambientale. Investire nell’educazione ambientale e in sistemi di raccolta efficaci è essenziale.
Alternative: quando sono davvero sostenibili?
Esistono molte alternative alla plastica: vetro, alluminio, carta, bioplastiche. Ma nessuna è perfetta. Il vetro è pesante ed energivoro; un peso maggiore comporta un consumo maggiore di CO2. L’alluminio ha un impatto enorme se non riciclato. La carta ha limiti di riciclo e può causare deforestazione. Le bioplastiche, derivate da materiali vegetali, spesso richiedono processi industriali molto dispendiosi per la produzione e di un compostaggio industriale per degradarsi. La vera sostenibilità si misura sul ciclo di vita completo del materiale.
Il modello svedese: plastica gestita, non demonizzata
La Svezia rappresenta un esempio virtuoso: con il sistema di deposito (Pant) e impianti come Site Zero, ha raggiunto tassi di recupero della plastica superiori all’87%, riducendo notevolmente le emissioni di CO₂. Site Zero è il più avanzato impianto al mondo per la selezione della plastica, capace di separare fino a 12 tipi di plastica grazie a tecnologie laser e intelligenza artificiale.
Conclusione: verso una cultura della responsabilità
Demonizzare la plastica è facile, ma non sempre giusto. Più utile è promuovere una cultura del consumo consapevole, migliorare le infrastrutture per la raccolta e investire in tecnologie per il riciclo. I materiali non sono buoni o cattivi: è l’uso che ne facciamo e come lo smaltiamo a determinarne l’impatto.
FONTI
CREDITS
Grafici prodotti dal redattore