Il denim diventa green (ma i jeans restano blu)

I jeans sono un must have intramontabile, in ogni armadio ce n’è almeno un paio. Anche se relegati in fondo in fondo e usati solo per imbiancare casa, ci sono. Era il 20 maggio 1873 quando i signori David Jacobs e Levi Strauss depositarono il brevetto. Ma non bisogna confondere il jeans classico, a cinque tasche o tutte le varianti attuali, con il denim, ovvero la tela blu con cui è realizzato. La produzione del denim è già attestata nel ‘400 e numerosi storici sostengono che questo tipo di fustagno di colore blu nacque nel genovese, terra dalla grande tradizione mercantile e tessile.

jeans-428614_1920Il denim è un tessuto realizzato con un ordito in lino e una trama in cotone, ma attualmente si usa solo il cotone. Pratico, comodo e resistente, il denim ha un problema: la produzione. È negli ultimi anni che si è posto l’accento sulla questione, dato il suo impatto ambientale e sulla salute dei lavoratori. Prima di tutto, essendo realizzato in cotone, la produzione della materia prima richiede grandi quantità d’acqua, oltre a fertilizzanti e pesticidi chimici. Ma questo riguarda qualsiasi prodotto in cotone. Nello specifico, durante la lavorazione del denim, viene usato un filo sintetico idrosolubile, che va poi rimosso con acqua calda. Quindi un’enorme massa d’acqua (300 litri per chilo di tessuto!) e l’energia per riscaldarla. A questo si aggiungono varie sostanze chimiche, alcune molto inquinanti per l’ambiente e per l’uomo, sia per gli operai che lavorano il tessuto che per i consumatori che lo indossano, perché potrebbero lasciare residui.

Partendo dall’importanza delle risorse idriche e dal loro forte inquinamento chimico, Greenpeace dal 2011 ha condotto delle indagini in alcuni stabilimenti cinesi. Non pensiate ai capi a basso costo nelle bancarelle del mercato: sono industrie che riforniscono grandi brand internazionali. È stata quindi lanciata la campagna Detox, per la progressiva eliminazione di undici sostante tossiche dalla lavorazione dei tessuti, a cui vari nomi della moda hanno aderito.

All’appello ha risposto anche Italdenim, azienda di Inveruno, nel milanese, fondata nel 1974. L’innovazione che questa azienda ha introdotto è l’uso del chitosano, un polisaccaride derivano dalla chitina, un polimero presente negli esoscheletri dei crostacei. Magari ne avete sentito parlare perché impiegato anche in varie diete dimagranti. Questa sostanza è quindi di origine organica e rinnovabile e permette una riduzione della quantità d’acqua e di energia usate nella lavorazione del denim, oltre a diminuire l’utilizzo di sostanze chimiche inquinanti. Il chitosano permette infatti di fissare il colore al tessuto grezzo, che quindi può essere tinto solo con pigmenti naturali. In cinque anni, Italdenim ha potuto così risparmiare sulla produzione mediamente il 60% di acqua, che per alcuni articoli arriva anche al 90%, evitando inoltre l’emissione di 70 milioni di chilogrammi di CO2. Con un ulteriore vantaggio, come si può leggere sul sito dell’azienda: “I tessuti così prodotti acquisiscono proprietà di batteriostaticità, antiacaro e antistatico che ne migliorano l’igenicità durante il loro utilizzo“.


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