Mercoledì sera, divano e televisione. Chissà, magari state guardando Italia’s Got Talent, perché intrattiene, è un programma leggero, che invita a scoprire nuove persone e talenti. Forse vi è capitato di vedere sul palco una ragazza, una certa Fatima Bouthouch: velo e scarpe rosse, pantaloni bianchi, maglia nera e un viso bellissimo, puro. Come le sue parole, che partono dal suo cuore e arrivano direttamente a quello di chi l’ascolta. Il suo monologo ha ottenuto grande seguito, perché Fatima è riuscita a far arrivare il suo messaggio, la sua denuncia. E noi de Lo Sbuffo non potevamo lasciarcela scappare. Ecco qui la sua bellissima storia in un’intervista.
Fatima: come spiegheresti in 10 righe la tua storia a chi ancora non ti conosce?
Bè, da dove incominciare? Sono figlia di due giovani immigrati marocchini che, agli inizi degli anni ‘90 si sono stabiliti in provincia di Modena. Crescendo, ho dovuto subito fare i conti con l’esigenza di essere ponte per me stessa e per chi avevo intorno. Ero un qualcosa di diverso e, come me, altri bambini. Ci si ritrova a fare i conti con sguardi di superiorità o con genuine espressioni di curiosità fin dai primi anni di vita. Ho scoperto l’amore per la lingua italiana proprio perché costituiva una delle mie sfide principali: distruggere il pregiudizio e annientare i dubbi che avevano gli altri sulle mie capacità.
Scrivere è diventato così il mio strumento di comunicazione, l’imbuto con cui distillare le mie emozioni. Le parole sono sempre state il mio cavallo di battaglia e il mezzo con cui lasciavo uscire pensieri rimasti senza voce per troppo tempo. Oggi mi sento serenamente in pace con le due parti di me, ma penso che sia necessario imporre il proprio diritto di esistere a chi non riesce ad accettarlo per ignoranza.
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Nata a Mirandola e poi trasferita a Birmingham: quanto hanno influito su di te queste due città Fatima?
A Mirandola (MO) ha avuto inizio la mia storia, anche se per del tempo ho vissuto in altre province circostanti. Ci feci ritorno all’età di tredici anni, ritrovandomi in terza media e con la necessità di integrarmi in un gruppo di adolescenti ormai consolidato. Inizialmente ero disorientata, destabilizzata e confusa, ma devo ammettere che in quell’anno ho scoperto molti coetanei capaci di andare oltre. Le difficoltà più rilevanti le ho riscontrate al primo anno di liceo, al punto che dovetti cambiare scuola l’anno seguente perché non riuscivo a sentirmi a mio agio.
Quando arrivai a Birmingham ero stanca, ma era una stanchezza che non aveva nulla a che vedere con il corpo. Io ero stanca nella mente, ero demotivata e profondamente depressa. Mi guardavo allo specchio e vedevo resti di qualcosa che ero, ma non somigliava a nulla di ciò che avrei voluto essere. È stata una faticaccia mettersi in piedi, ma l’intensa esperienza e gli ostacoli mi hanno permesso di capire chi sono e cosa voglio.
Qualche anno fa hai pubblicato il tuo libro Come alberi, da dove nasce la scelta del titolo? E, più in generale, la passione per la scrittura?
Come Alberi è la mia prima raccolta di pensieri e poesie. Ho scelto l’immagine dell’albero perché mi ci rivedo molto. Questo è composto da radici, tronco, rami e foglie. Senza le radici, un albero non potrà mai sopravvivere né godere di frutti e fiori, mentre se ha radici solide e ben nutrite, potrà contare su rami rigogliosi e una vita lunga. Ecco, io penso che sia la metafora più azzeccata per trasmettere ciò in cui credo: se non accettiamo e coltiviamo quello che siamo, il posto da cui veniamo, non possiamo sperare di fiorire in maniera sana, di amare quel che diventiamo e di raggiungere un equilibrio personale.
Come ho specificato sopra, la mia passione per la scrittura nasce da un’esigenza interiore di comunicare al mondo. Diventò la mia cura, il mio locus amoenus e una fetta di tempo che mi permette di fare pace con tutto.
Ultimamente il tuo volto sta spopolando dopo la tua esibizione a Italia’s Got Talent. Quanto tempo hai impiegato per preparare la tua esibizione?
In realtà, io tendo a non preparare troppo le mie esibizioni, perché credo fortemente nel ruolo dell’emozione che, se portata a un’esasperata ripetizione, rischia di macchiarsi di meccanicità. Ad ogni modo, cerco sempre di concentrarmi sulla parte più tecnica della performance, allenando la memoria e provando a sciogliere la mie espressività. Ho ancora molto lavoro da fare e molto da migliorare, ma sono più che pronta a mettermi in gioco!
Per chi non avesse ancora avuto modo di vederla, che cosa racconta e perché hai voluto farlo proprio su quel palco?
Il testo che ho proposto a IGT21 è una dedica a mia madre. Nell’immaginario comune passa sempre quest’idea cliché dell’immigrato maschio, adulto e sano che approda qui in cerca di lavoro o, nella peggiore delle descrizioni, a rubare opportunità e a delinquere. Stereotipi errati, che non coprono la realtà dei fatti e che emarginano altre figure coinvolte nel fenomeno migratorio, ovvero quelle delle donne. Si parla poco o nulla di tutte le madri, mogli, o anche donne sole, che sono emigrate a seguito di un matrimonio o per l’esigenza di aiutare la propria famiglia.
Molte hanno dovuto fare i conti con la solitudine più totale e varie difficoltà di inserimento sociale. Erano sole nella sala parto, poi nelle camere d’ospedale, mentre osservavano altre giovani ragazze accompagnate dai propri cari. Questa è solo una delle varie situazioni in cui si ritrovano le donne in diversi Paesi agli angoli del mondo. Il mio intento era quello di fare luce anche su questo e poi collegarlo alla mia storia. Il tutto in chiave femminile.
Quali sono stati i pro e i contro di quell’esibizione? Sei rimasta soddisfatta dal tutto?
Sicuramente avrei potuto fare di meglio, ma sono stata soddisfatta di aver ricevuto moltissimi messaggi di incoraggiamento, oltre ad aver avuto modo di leggere le storie di tante persone che hanno vissuto le medesime esperienze.
Dopo la messa in onda della tua esibizione, qual è il feedback che hai ricevuto?
Inizialmente ero preoccupata che non tutti avrebbero colto il messaggio, invece sono stata positivamente colpita dal calore che mi si è versato addosso, in maniera del tutto inaspettata. Il tutto è stato forte, dolce e di conforto.
Prima della tua esibizione in questo talent, il tuo volto è comparso anche nell’esperimento sociale dei The Show. Quante volte ti sono state dette realmente quelle frasi?
Purtroppo ho ricevuto spesso insulti a sfondo razzista, soprattutto quando portavo il velo. Devo dire che durante gli anni vissuti a Milano ne ho risentito meno, proprio perché penso che la metropoli sia più abituata alla diversità. Qui il tipo di intolleranza si riscontra in maniere più sottili, ma comunque pericolose. Per esempio in ambito lavorativo o scolastico.
Fortunatamente, però, non tutti in Italia sono così. Sei rimasta stupita dalle diverse persone che invece ti hanno difesa in quel video?
Assolutamente sì. Io ho evitato di leggere i commenti, per evitare di farmi trasportare dall’energia negativa. Ma ho letto con piacere le parole di supporto e incoraggiamento che ho ricevuto per messaggio privato. Sono state gocce di miele sul cuore!
L’Italia ha una storia di immigrazione molto recente, e spesso le parole “marocchino” e “musulmano” vengono utilizzate proprio come insulti. Pensi che il sistema scolastico in tutto ciò possa riuscire a cambiare un po’ questa visione?
Io credo che il sistema scolastico abbia un ruolo fondamentale e, laddove fallisce l’educazione familiare dovrebbe vincere quella scolastica. Purtroppo è più difficile a dirsi che a farsi, considerato che anche la propaganda generale è piuttosto razzista e specista. Ormai viviamo in realtà sempre più multietniche, siamo tutti un po’ figli del mondo e bisognerebbe insegnarlo ai bambini fin da subito, portandoli a non temere il diverso e ad abbracciarlo con consapevolezza. Sono ottimista e spero che con il ricambio generazionale i problemi di questo tipo diminuiscano.
In conclusione
Fatima è una giovanissima ma promettente artista, che non ha paura di dire le cose come stanno, di sventrare determinati pregiudizi che, purtroppo, sono radicati in maniera più o meno evidente in troppe società. Siamo ancora lontani dall’inclusione totale di coloro che vengono additati come “diversi”, perché immigrati, neri, omosessuali. E finché aggettivi come questo verranno utilizzati come sinonimo di “sbagliato”, tutte queste persone si sentiranno sempre discriminate e inferiori. E bisognerà parlarne. Come Fatima.
Grazie Fatima per le tue parole, speriamo che un giorno tu non ti senta più guardata con occhi sospetti, ma solo con tanto e caloroso amore.
Mi chiedete da dove vengo: dall’Italia, rispondo.
Ridete beffardi. “No prima, dov’eri?”.
“In una casa di pochi metri quadri, in un quartiere d’immigrati stanchi innamorati delle nostre madri”, vi dico.
Voi non siete ancora soddisfatti della risposta e continuano domande senza sosta.
“Ma da che paese?”.
“Lo stesso di Michelangelo, Raffaello e Cesare Pavese. Paese di Dante e Giuseppe Verdi, dell’Impero Romano appeso ai ricordi”.
Ora siete arrabbiati, irritati.
“No, ma da dove vengono i vostri genitori?”
FONTI:
Intervista