donna incinta

Neomamme e il lavoro in Italia: sfide e categorie non protette

La maternità è immancabilmente un momento di gioia, ma per molte donne si rivela un ostacolo significativo nel percorso della loro carriera professionale. Il mercato del lavoro italiano è tutt’oggi caratterizzato da forti disparità tra diverse categorie professionali. In tanti casi la legge non offre le tutele necessarie a tutte le neomamme, forzando quest’ultime a scegliere tra famiglia e lavoro. In questo articolo tratteremo le problematiche maggiori che le neomamme affrontano in Italia e le categorie di lavoratrici non protette.

Le difficoltà delle neomamme nel mondo del lavoro

In base a recenti dati rilasciati dall’Inl (Ispettorato Nazionale del Lavoro), oltre 61mila neogenitori hanno rinunciato al proprio impiego nel biennio 2023-2024 viste le difficoltà nel conciliare famiglia e lavoro. Il 70% dei 61mila lavoratori che hanno dato le dimissioni erano donne.. Le principali problematiche girano attorno alla rigidità da parte di molte aziende nell’offrire soluzioni di lavoro agile o part-time. A questo si aggiungono le ostilità e i pregiudizi nei confronti delle neomamme nell’ambito lavorativo, siccome sono spesso percepite come meno produttive e meno disponibili.

In aggiunta, sicuramente non sono d’aiuto i costi elevati e le spese spesso insostenibili dei servizi per l’infanzia, inclusi asili nido e babysitter.

Parimenti, creano tante frustrazioni le dimissioni forzate a causa dell’impossibilità per molte lavoratrici di gestire e conciliare gli impegni familiari con quegli professionali.

Le lavoratrici non protette dalla legge

Negli anni la legge ha fatto diversi passi avanti nel provvedere a questo problema vigente. Una delle tutele legislative rivolte alle neomamme è rappresentata dall’articolo 55 del Decreto Legislativo 151/2001. Questo articolo riguarda le dimissioni volontarie della lavoratrice (o del lavoratore) durante il periodo di tutela della maternità o della paternità. Se una lavoratrice si dimette durante il periodo in cui vige il divieto di licenziamento, ha diritto alle indennità previste per il caso di licenziamento. Per di più, non è tenuta al preavviso. Tuttavia, questa norma non si applica ad alcune categorie vulnerabili, che spesso si trovano senza alcuna protezione economica dopo la maternità.

Tra queste ci sono:

  1. Le lavoratrici autonome prive di congedi parentali retribuiti e di altre forme di sostegno economico.
  2. Le dipendenti con contratti precari che spesso non hanno diritto a congedi di maternità o a misure di tutela contro il licenziamento.
  3. Le collaboratrici domestiche escluse dalla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego).

Perché le collaboratrici domestiche non ricevono le tutele dovute?

L’esclusione delle collaboratrici domestiche comporta la perdita del diritto alla NASpI, lasciandole senza alcun sostegno economico dopo le dimissioni. Questo aspetto si basa su alcune motivazioni giuridiche. Nonostante il rapporto di lavoro domestico sia disciplinato dal CCNL e sia un rapporto subordinato a tutti gli effetti, ad esso si applica un regime previdenziale speciale. Il lavoro domestico è regolato da un sistema contributivo diverso rispetto ai lavoratori subordinati ordinari. Questo sistema non include la NASpI, ma solo un’indennità di disoccupazione specifica, ossia DIS-COLL. Quest’ultimo non prevede l’applicazione della disciplina riguardante le dimissioni volontarie.

Per i lavoratori subordinati, le dimissioni devono essere convalidate dall’Ispettorato del Lavoro per evitare pressioni indebite da parte del datore di lavoro. Questa procedura non è prevista per le collaboratrici domestiche, che possono dimettersi senza alcuna verifica ispettiva. Inoltre, il contratto di lavoro domestico viene considerato più flessibile e meno vincolante rispetto ai contratti subordinati tradizionali.

Questa esclusione si può giustificare?

Da una prospettiva sociale e lavorativa, l’esclusione delle collaboratrici domestiche dalla disciplina dell’articolo 55 può decisamente risultare ingiusta. Innanzitutto, il lavoro domestico è essenziale e comporta rischi sia fisici che psicologici, come qualsiasi altra attività lavorativa. Tuttavia, il lavoro domestico è caratterizzato da una responsabilità ampliata, siccome tante volte consiste nel prendersi cura di soggetti molto vulnerabili o effettuare azioni che comportano rischi fisici considerevoli.

Inoltre, come abbiamo già menzionato, le collaboratrici domestiche si trovano già in una posizione svantaggiata rispetto alle altre categorie professionali a causa della mancanza di tutela contro dimissioni forzate o pressioni indebite.

L’attuale normativa crea una disparità ingiustificata tra le lavoratrici, penalizzando quelle impiegate nel settore domestico. Un intervento legislativo potrebbe colmare questa lacuna e garantire pari diritti a tutte le madri lavoratrici.

Possibili soluzioni

Al fine di portare maggiore equità tra tutte le neomamme lavoratrici sarebbe opportuno applicare delle nuove deliberazioni. In primis, si potrebbe provvedere all’estensione dell’applicazione dell’articolo 55 alle collaboratrici domestiche riconoscendo loro il diritto alla NASpI. Una riforma del sistema previdenziale del lavoro domestico che include forme di tutela per la maternità consisterebbe anche nell’introduzione di una procedura di convalida delle dimissioni da parte dell’Ispettorato del Lavoro. In tal modo si eviterebbero le pressioni indebite e le collaboratrici domestiche diventerebbero una categoria professionale alla pari di qualsiasi altro rapporto di lavoro subordinato.

 L’importanza di dare sicurezza a tutte le mamme

La maternità non dovrebbe essere un ostacolo allo sviluppo professionale di ogni donna, ma un momento di crescita e realizzazione personale. Per questa ragione, è fondamentale che il sistema lavorativo italiano evolva per garantire opportunità eque a tutte le madri, indipendentemente dalla categoria professionale a cui appartengono.

Questo è dovuto al fatto che ogni lavoratore contribuisce considerevolmente all’avanzamento sociale e alla collaborazione per proteggere i più deboli.

 

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